Faroe: chiuso per manutenzione

/ 14.08.2023
di Claudio Visentin

Le Faroe sono un piccolo arcipelago sperduto nell’Atlantico settentrionale, lungo la rotta tra la Scozia e l’Islanda. Chi le frequenta ha sempre una storia curiosa da raccontare. Per esempio molte case hanno il tetto coperto d’erba e le pecore si prendono cura della manutenzione pascolandoci sopra. Del resto nelle diciotto isole gli ovini sono oltre settantamila (un terzo più degli abitanti) e qualcosa dovranno pur fare. Fær Øer significa proprio «isole delle pecore» e il loro allevamento è la principale attività economica, insieme alla pesca. Da qualche tempo tuttavia anche il turismo internazionale è una voce importante, nel quadro di un crescente interesse per il Nord. Anzi, da molti punti di vista queste isole sono diventate un laboratorio del turismo contemporaneo.

Un esempio di qualche giorno fa. Gli abitanti delle Faroe difendono con tenacia la tradizionale e cruenta caccia alle balene (grindadráp). Da secoli accerchiano branchi in migrazione in mare aperto e li sospingono verso alcuni fiordi, dove i cetacei vengono poi massacrati nell’acqua bassa, arrossata del loro sangue. Inutili sin qui le (fondate) proteste delle associazioni ambientaliste. Poche settimane fa i passeggeri di una nave da crociera di Ambassador Cruise Line in cerca dell’aurora boreale («uno spettacolo di luci come nessun altro») hanno invece assistito alla mattanza di un’ottantina di balene quando sono approdati nel porto della minuscola capitale Tórshavn. Sono seguite naturalmente prese di distanza, le scuse della compagnia di navigazione e così via ma viaggiare non servirebbe anche a misurarsi con la diversità del mondo? O forse le culture tradizionali ci piacciono solo in una versione edulcorata e addomesticata?

Nonostante l’attaccamento alla tradizione, gli abitanti delle Faroe hanno dimostrato di sapersi promuovere molto bene, sfruttando tutte le possibilità offerte dalla rete. Qualche anno fa per protestare contro la mancata copertura del loro Paese da parte di Google Street View hanno montato delle telecamere sul dorso delle immancabili pecore, creando… Google Sheep View. E poiché i principali servizi di traduzione online non contemplano la loro lingua, hanno creato un servizio (Faroe Islands Translate) che permette di chiedere direttamente agli abitanti del posto.

Intanto le Faroe sono di moda e il numero dei turisti cresce rapidamente, al ritmo del dieci per cento l’anno. Erano solo settantamila nel 2013, già più che raddoppiati nel 2019. E dopo la pandemia si temono accelerazioni esponenziali. Per non farsi cogliere impreparato, nell’aprile di quest’anno l’arcipelago ha proposto per il quinto anno consecutivo l’iniziativa «Chiuso per manutenzione». Per alcuni giorni l’accesso ai turisti è vietato, ma un centinaio di candidati scelti per sorteggio possono venire come volontari per prendersi cura dei luoghi più popolari, con la copertura di tutte le spese.

Nel resto dell’anno gli altri turisti però devono pagare parecchio se vogliono scattarsi un selfie a effetto, per esempio alla Rupe degli schiavi (Trælanípan), da dove il lago Leitisvatn sembra sospeso sopra l’oceano. Dal 2019 per fotografare questo luogo di tendenza su Instagram si pagano alcune decine di dollari. Lo stesso per riprendere l’arco di roccia di Drangarnir o per salire sul monte Villingardalsfjall, nell’isola di Viðoy. In quest’ultimo caso i locali si giustificano spiegando che spesso devono recuperare dei turisti sorpresi dalla nebbia. Del resto, alle Faroe la meteo cambia con grande rapidità, anche tre o quattro volte al giorno (di solito in peggio).

Si può discutere naturalmente la legittimità di questi pedaggi. Di certo contrastano con la tradizione prevalente nell’Europa settentrionale, ispirata al concetto norvegese di Friluftsliv (letteralmente «vita all’aria aperta») e basata sul diritto di libero utilizzo in qualunque forma degli spazi naturali. Gli isolani per parte loro non amano le distinzioni troppo sottili. In fondo il problema non sono i turisti, dicono, benvenuti dopo la lunga sospensione per la pandemia, ma gli ultimi arrivati, interessati quasi solo a un selfie da condividere in rete.

Alle Faroe, nonostante siano alla fine del mondo (o forse proprio per questo) hanno le idee chiare. Per gestire il nuovo iperturismo servono idealismo, creatività e parecchio realismo. Una lezione da ricordare, anche in paesaggi diversi e distanti.