Nel 1994 il Centro Didattico Cantonale pubblicò uno studio sul rapporto dei bambini ticinesi con la televisione: il campione analizzato comprendeva 800 allievi delle scuole elementari e 200 del prescolastico, e i dati raccolti indicavano che, in media, la permanenza davanti al video era di circa un’ora e mezza al giorno (ma il 29% guardava la TV per più di 2 ore al giorno). Non sono al corrente di ricerche più recenti, ma credo che le percentuali rimangano grosso modo stabili; oppure, se fossero diminuite, probabilmente lo si dovrebbe al fatto che parte del tempo dedicato alla TV viene ora deviato sugli smartphones, sui tablet, sulle immagini virtuali della Rete.
In ogni caso, sono sempre le immagini, i videogiochi e i filmati che assorbono gran parte dell’attenzione. La nostra è davvero l’era dell’immagine. Un libro non compare quasi mai nelle mani dei ragazzi; un telefonino, quasi sempre.Ci sono studi che sostengono che, conseguentemente al prevalere dei nuovi media, anche l’intelligenza umana sta cambiando: le aree cerebrali preposte alle competenze linguistiche cedono spazio alle abilità psicomotorie, alla rapidità di riflessi necessaria per i videogiochi e per gli sport. È stato così anche in passato: quando iniziò la civiltà agricola e si formarono comunità sempre più numerose, la comunicazione linguistica divenne necessariamente più complessa e il cervello si adattò per sviluppare nuove competenze; il mondo cambia, cambia l’ambiente di vita e il cervello si adegua di conseguenza.
Come sempre, però, quando avvengono grossi cambiamenti, quel che si guadagna lo si paga perdendo qualcos’altro. Una capacità che mi sembra a rischio di scomparire – o per lo meno di atrofizzarsi – è la fantasia; e, con lei, ciò che le è strettamente legato, la creatività. È provato che la creatività, la capacità di produrre nuove idee, a volte geniali, è circoscritta in genere all’età giovanile: nell’arte come nella scienza le idee nuove e le trovate geniali sbocciano soprattutto nella giovinezza. Probabilmente questo accade perché la fantasia, la curiosità e il gusto di fantasticare sono più vivi e forti quando si è ragazzi; poi le necessità della vita pratica rafforzano il pensiero razionale, che segue percorsi logici in modo realistico e riduce le fantasticherie. Einstein ricordava un episodio di quando era un ragazzino: suo padre gli mostrò una piccola bussola e lui ne rimase affascinato. Più tardi ebbe a scrivere: «L’enorme impressione che mi fece allora ha senz’altro avuto conseguenze molto importanti nella mia vita». Troppo spesso si trascura il fatto che episodi della giovinezza, anche se apparentemente insignificanti come questo, possono essere determinanti per la crescita e la vita successiva.Ma, appunto, perché questo accada è necessario lo stupore, quella capacità di meravigliarsi che, nell’infanzia, è sempre molto forte. Temo però che la sovrabbondanza delle immagini e della fiction televisiva lasci meno spazio alla fantasia di quanto ne lasciavano, un tempo, un libro o l’incontro con una bussola.
C’è poi un altro aspetto inquietante nel fenomeno della dipendenza televisiva. Sempre all’inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti scoppiarono numerose polemiche contro programmi televisivi violenti e pornografici. D’altra parte, i sondaggi e il rilevamento di dati statistici mostravano che proprio quei programmi facevano registrare un crescente numero di ascoltatori. Anche i notiziari, del resto, tendono a diventare spettacolari mostrando scene di violenza e di sofferenza: il pubblico ne è attratto, e anche il giornalismo televisivo tende ad adottare quegli espedienti pubblicitari che catturano l’attenzione: scene al rallentatore, scritte cubitali, titoli sensazionali, commenti concitati.
Non bisogna sottovalutare l’effetto di prolungate esposizioni televisive del genere: da vari studi risulta che trenta secondi di pubblicità ripetuti più volte sono sufficienti per indurre un bambino o un adolescente ad assillare i genitori perché gli comprino il prodotto pubblicizzato; allo stesso modo, molte ore di «trash tv» possono produrre un effetto analogo. Se i protagonisti di scene immorali o violente vengono ammirati come eroi, a poco a poco sorgerà la tendenza ad imitarli. Negli USA si sono già verificati, nei primi mesi di quest’anno, numerosi casi di sparatorie che hanno provocato stragi in Virginia, nel Texas, nell’Ohio; ma quanto la televisione abbia influenzato le fantasie malate degli attentatori, questo non è dato sapere.