Fake news, american style

/ 27.08.2018
di Cesare Poppi

La controversia sulle fake news è ormai talmente parte del pacchetto di informazioni quotidiane da far venire il sospetto che si tratti – appunto – di notizia falsa: chi si salva più? Si è detto, certo con una misura di verità, che la diffusione esponenziale dei cosiddetti social abbia messo in mano a chiunque la possibilità di diffondere notizie false con le inevitabili conseguenze. Certo, l’allarme c’è ed è reale. Ma, per paradossale fortuna, la cosa fa poi di fatto molto meno paura in quanto è altrettanto risaputo che non tutti, non sempre e non solo agiscono sulla sola base di informazioni. Più spesso che no il grande pubblico lavora – per così dire – a partire da un cocktail cognitivo inestricabile a base di informazioni vere, informazioni parziali, informazioni false, sentito dire, radicati pregiudizi, opinioni formatesi nel corso del tempo e mai più rivisitate – il tutto peraltro non sempre supportato da quella piena avvertenza e deliberato consenso che sono – alcuni ricorderanno – ingredienti fondamentali per fare di una certa linea d’azione un peccato mortale. E così si continuerà ad impaccare i social con prove e controprove sulla veridicità dello sbarco sulla Luna da parte della NASA o su quale amena località si nasconda Elvis – e ora, mi dicono, anche Michael Jackson.

Ma le fake news non sono né tutta colpa dei social né prerogativa dell’epoca digitale: solo sono diventate più noiose rispetto al passato. Volete mettere il titolo col quale «The Sun», un quotidiano newyorkese (e di dove altro poteva essere?) sull’orlo della chiusura, annunciava, il 21 agosto 1835, che a breve sarebbe cominciata la pubblicazione di una serie di estratti da un’autorevole rivista scientifica scozzese relativi alle sensazionali scoperte relative alla vita sulla Luna che Sir John Herschel, un famoso astronomo realmente esistente, aveva effettuato con l’ausilio di un nuovo, sensazionale e potentissimo telescopio. E fu così che il 25 agosto, martedì, le copie del giornale andarono a ruba.

Il primo estratto, che occupava due terzi della prima pagina, si limitava a descrivere le meraviglie tecnologiche del gigantesco telescopio, così potente da rendere possibile effettuare financo osservazioni «di natura entomologica» – posto, s’intendesse, che sulla Luna ci fossero l’equivalente delle nostre formiche. Il 26 agosto, mercoledì, si entrava in medias res: si descriveva prima la fantastica geologia dei cristalli lunari coperti da fiori rossi per poi passare a descriverne le mandrie di quadrupedi simili a bisonti, certe capre di colore blu ed una creatura anfibia a forma sferica che rotolava a grande velocità sulla spiaggia. 27 agosto, giovedì: la lista di piante ed animali si allungava ma, soprattutto, si dava notizia della scoperta della prima forma di vita intelligente: un castoro bipede che abitava in sofisticate capanne di legno e conosceva l’uso del fuoco. 28 agosto, venerdì: si annunciava la scoperta-clue dell’intera serie. L’Homo Vespertilio, l’Uomo Pipistrello (il nonno di Batman?) era descritto come creatura dalla pelle giallastra e dal volto simile ad un Orango munita di membrane che lo facevano volare come un pipistrello. Che si trattasse di un essere razionale era testimonianza il fatto che sembrava impegnarsi in dispute verbali senza fine, razionalità peraltro mitigata dal fatto che il Vespertilio si accoppiava coram populo senza alcuna vergogna.

Ormai a corto di inventiva, il sabato 29 agosto si ricorreva alla tattica poi consacrata dalle fake news di ogni tempo della archeologia fantascientifica alla Indiana Jones: la scoperta di un tempio di puro zaffiro dall’architettura complessa (e confusa) preludeva alla puntata finale, pubblicata il 31 agosto, lunedì, dopo la dovuta pausa domenicale. Stavolta si trattava della scoperta di una «razza superiore» di Homo Vespertilio dotata di ali simili agli angeli dal comportamento pacifico e gentile, tanto da far ipotizzare che sulla Luna nulla vi fosse delle miserie che invece pertengono alla vita sulla terra.

Il paradosso – morale dell’appuntamento odierno con l’Altropologo – è che l’intera serie era stata concepita dal suo autore, tale Richard Adams Locke, giornalista del «Sun», come satira per ridicolizzare le fake news che circolavano allora nei circoli accademici più accreditati circa le prove di vita intelligente sulla Luna. Dunque, allora: fake news intese come dimostrazione dell’assurdità di fake news accreditate che diventano notizia «vera» che accredita a sua volta le inattendibili fake news originali. Ce n’è abbastanza da far venire il mal di testa: nihil sub Luna novi. Esco pertanto a contemplare una Luna che stanotte è bellissima.