Fai sempre la domanda giusta

/ 13.01.2020
di Bruno Gambarotta

Il buon vecchio Raymond Carver amava pescare i salmoni nel fiume dietro casa. Una volta il buio della sera lo sorprende in piedi in mezzo al fiume; a un tratto avverte nell’acqua una presenza misteriosa che gli sfiora gli stivali e gli procura un lungo brivido di paura. Scrive nella poesia Il fiume: «Ho trattenuto il fiato e ho lanciato la lenza pregando che niente abboccasse».

Senza essere mai stato pescatore, quante volte nella vita ho lanciato la lenza, pregando che nessuno abboccasse! La prima volta avevo tredici anni, frequentavo la terza media e lei si chiamava Milena. Eravamo ad Asti, in piazza Alfieri (tutto ad Asti si chiama Alfieri), era il tempo delle giostre di maggio per le feste patronali in onore di San Secondo, il santo patrono. Sulla pedana d’accesso alla pista ellittica delle auto da corsa eravamo rimasti solo io e lei. Tutti i miei compagni erano già seduti nell’automobilina con una ragazza accanto. Percepivo i loro muti incoraggiamenti: o adesso o mai più. Ma io ignoravo come si guidavano quei cosi, non avevo mai preso in mano un volante! Ho lanciato l’amo, pregando che non abboccasse: «Ti andrebbe di fare un giro?».

Grazie Milena, a settanta anni di distanza, per aver pronunciato un no senza appello. Forse hai letto nei miei occhi il terrore, forse il tremolio della voce e la goffaggine dei gesti hanno causato il tuo no. Comunque grazie. Se tu avessi risposto di sì, starei ancora pagando i danni al giostraio. Ignoro come siano adesso i rapporti fra gli adolescenti dei due sessi ma, osservandoli da lontano, ho il sospetto che siano molto diversi da quelli dei nostri tempi, quando anche la messa grande della domenica poteva servire per lanciare muti messaggi. In quegli anni ero anche balbuziente a causa del fatto che, essendo mancino, mi costringevano a scrivere con la mano destra. Così, per completare una frase impiegavo sei messe.

Anche ai nostri tempi c’erano i conquistatori, i belli, i sicuri di sé. Forse non è il caso di specificare che io non appartenevo alla categoria. Per noi, goffi e imbranati, la prima mossa consisteva nel puntare una coetanea che fosse ancora spaiata. Le carine erano già impegnate, si trattava di una seconda scelta. Scelta la candidata, bisognava trovare il modo di farglielo sapere. Fortunati quei compagni provvisti di una sorella da mandare in avanscoperta.

Non avendo sorelle, tessevo nella mia mente raffinate strategie. Correre attorno a un isolato per poterla incontrare «per puro caso» col fiato grosso, salvo scoprire che nel frattempo lei si era fermata a parlare con un’amica. Fiondarsi nella cartoleria dove lei è appena entrata. Cosa posso comprare che costi poco? «Mi dia una boccetta d’inchiostro». «L’hai già finita quella che hai comprato ieri?» mi domanda quel genio del cartolaio, mai che si faccia una flebo di cavoli suoi. Lei è accanto a me alla cassa, mi guarda in tralice e accenna un mezzo sorriso. Sarà un invito? Se esco con lei dal negozio e le chiedo se viene al cinema con me sono sicuro che dirà di no. Ma se non glielo chiedo non saprò mai se avrebbe detto di sì o di no. Se per caso dice di sì, cosa faccio? Come mi devo comportare? La prendo sottobraccio? E una volta al buio del cinema, cosa si fa? Devo continuare a guardare il film per commentarlo con lei quando usciamo? Se compro una carruba per rosicchiarla durante la proiezione devo offrirla anche a lei? E se preferisce il bastone di liquirizia? Io adesso glielo chiedo.

Esco dal negozio, affretto il passo, lei mi sente arrivare, rallenta, l’affianco, mi domanda: «Cosa te ne fai di tutto quell’inchiostro? Scrivi poesie?» E no! Va bene essere sfigati ma anche poeta no, è troppo! «No», le rispondo. «Tengo un diario, da grande voglio fare lo scrittore». Lei m’incoraggia: «Come Cesare Pavese? Mio papà sta leggendo il suo diario. Dice che Pavese, come tutti gli scrittori, non ci sapeva fare con le donne. Dice, mio papà, che se ci sai fare con le donne non hai bisogno di perdere tempo a scrivere». È il momento, o adesso o mai più: «Verresti con me al cinema?» «Grazie, ma preferisco di no». È andata, sono salvo.

Il mio amico Carlo, maestro di seduzione, mi spiegherà che dovevo insistere, che le ragazze non dicono mai subito di sì, ma io preferisco che sia andata così. Per tutta la vita ho seguitato a lanciare lenze sperando che nessuno abboccasse e devo ammettere che mi è andata abbastanza bene.

Se avanza una fetta di torta butto la lenza: «Per caso qualcuno ne vuole ancora?» E me la metto nel piatto senza attendere una risposta. Piove, non mi va di uscire: «Andiamo al cinema? Ci sediamo in galleria, nelle inondazioni l’acqua di solito si ferma in platea». In montagna: «Ti andrebbe di fare una gita? Hai letto di quei due che si sono persi? Non ti devi preoccupare, mi porto dietro la pistola lanciarazzi». Il modo giusto per porre le domande è una dote innata. O ce l’hai o non ce l’hai.