Siamo nei primi anni della seconda metà del Cinquecento, in un villaggio del Caciccato di Cupules, una vasta regione nel Nord dello Yucatan (Messico contemporaneo) a malapena ancora controllata con efficacia dai Conquistadores e dalle loro truppe di rincalzo – quei missionari francescani ai quali era stata concessa l’esclusiva di convertire l’intera regione dove sopravvivevano attivi nuclei di resistenza Maya. Un pubblico di fedeli di trecento persone è radunata nella plaza del villaggio di fronte ad un altare sul quale campeggiano le figure delle divinità locali. Un ragazzino viene trascinato fino all’altare ed i sacerdoti avviano il rituale per il sacrificio. D’un tratto sono rumori da tafferuglio. Grida d’alterco, imprecazioni in Maya e in Castigliano. Pugni, spinte, strattoni. Poi irrompe sulla plaza la figura di un frate francescano, sguardo spiritato, visibilmente alterato. Afferra la giovane vittima e trancia le corde che la legano. Si rivolge agli idoli in terracotta e li sfascia al suolo. La folla ammutolisce. I sacerdoti fanno un passo indietro. Silenzio. Ripreso fiato, il frate scruta i presenti uno ad uno. Poi, in buon idioma Maya, inizia a predicare contro gli idoli e i loro inganni a favore di un Dio che invece ha sacrificato sé stesso per salvarci dalla siccità e dalle malattie. Il suo zelo e la sua sincerità erano tali da indurre la folla a pregarlo di rimanere ed insegnare loro di più di questo dio strano e meraviglioso.
Così il francescano Lopez de Cogulludo, il maggiore biografo di una delle figure più di spicco e controverse dell’intera storia della conquista delle Americhe. Diego de Landa Calderón, O.F.M. era nato a Cifuentes, nella provincia spagnola di Guadalajara. Entrato nell’ordine francescano nel 1541, nel 1549 fu selezionato ad essere membro del primo contingente missionario nel Yucatan, presso la Missione di San Antonio a Izamal. Prima e fondamentale preoccupazione di questi pionieri missionari d’assalto era di mettere fine alla pratica dei sacrifici umani secondo le antropologiche elaborazioni simboliche rese celebri nella rinnovata controversia sul diritto alle pratiche culturali rinfocolata di recente dal film Apocalypto (2006). Come è del tutto probabile, nelle zone periferiche ancora relativamente toccate dalla Conquista, non solo le pratiche religiose tradizionali continuavano, ma acquisivano maggior forza nel tentativo di placare l’ira degli dei che aveva portato di conseguenza la catastrofe di un’intera civilizzazione per opera di una manciata di avventurieri dediti ad un dio altro. Qui, dunque, il sacrificio umano era forse aumentato in frequenza. Se con Abramo ed Isacco si era affermata la linea di pensiero religioso che metteva fine ai sacrifici umani, col sacrificio di Cristo gli ordini dei fattori si erano invertiti ed il risultato era radicalmente cambiato: col sacrificio di dio stesso era finita l’era del sacrificio come atto di scambio vita-per-vita per inaugurare l’era del «dare» come puro atto d’amore, senza contropartita: Dio ha dato la sua vita per il Mondo.
Eradicare la pratica del sacrificio umano costituiva dunque per i primi francescani dello Yucatan una priorità non solo «religiosa», ma anche e soprattutto antropologica, proprio in quanto radicata nella logica cognitiva del Sacrificio di Dio. Atto fondante prima, e discrimine poi, della specificità del messaggio evangelico, la fine del sacrificio umano era banco di prova ineluttabile.
Diego de Landa si dedicò alla missione con un impegno dagli esiti paradossali. Il suo impegno per la conversione delle zone più remote dello Yucatan gli valse una fama sempre più vasta. La conoscenza minuta della cultura e della lingua Maya lo portò alla stesura dell’opera Relaciòn de las cosas de Yucatàn che completò attorno al 1566. Per quanto giunto a noi monco di parti importanti, la versione pubblicata nel 1666 sulla cultura, la lingua e la religione dei Maya è ancora considerata la più importante fonte di conoscenze sulla civiltà Maya. Con un improvviso colpo di scena, Diego de Landa fu rimpatriato in Spagna per rispondere all’accusa di aver ordinato un’Inquisizione nella diocesi nella quale operava abusando del suo ufficio, ovvero senza l’approvazione dell’autorità vescovile. L’accusa cadde, e nel 1569 Landa divenne il secondo vescovo dello Yucatan. All’apice dell’Inquisizione da lui ordinata dunque, 27 codici e 5000 effigi degli dei Maya erano stati messi al rogo il 12 luglio 1562. Dei codici Maya ne sarebbero restati solo tre, più uno frammentario.
Sintesi e morale della favola: uno zelota fondamentalista contribuisce a distruggere la documentazione più importante della civilizzazione della quale diviene il maggiore testimone. Proprio per questo viene messo sotto processo dagli stessi che pure gli hanno dato il mandato in prima battuta. Historia magistra vitae? Sì, forse. Ma prima stipuliamo una polizza assicurativa.