Ex Grand Hotel Campo dei Fiori

/ 14.05.2018
di Oliver Scharpf

Negli ultimi tempi se ne era parlato un po’ perché è finito all’asta, cambiando proprietario. Ma soprattutto, questo Grand Hotel liberty abbandonato nel bosco, è tornato agli onori della cronaca perché è diventato il set cinemato-grafico per il remake di Suspiria (1977). Film d’orrore di Dario Argento adorato dagli intenditori del genere. Dopo le riprese, quello che oggi viene considerato uno dei capolavori di Giuseppe Sommaruga (1867-1917) ha riaperto eccezionalmente le sue porte, in parte, per delle visite guidate organizzate dal FAI in concomitanza con una mostra su Sommaruga per il centenario della sua morte.

L’aria prealpina si sente subito appena sceso dal minibus, mescolandosi al buon odore dei boschi dopo i temporali. Per decenni invece, il Grand Hotel Campo dei Fiori chiuso nel 1968, è stato dimenticato e lasciato al suo degrado. Gli capita perfino in sorte, a partire dagli anni ottanta, vista la sua posizione privilegiata quasi in cima al Monte Tre Croci, di diventare nido per atroci antenne di emittenti radiotelevisive private. Da lontano, quando sono venuto da queste parti per il pezzo sul biscione di Breno e sul Borducan, vederlo lassù sfregiato così, mi dispiaceva non poco. A molti varesini che salgono su al Sacro Monte, guardando in direzione del massiccio Campo dei Fiori che dà anche il nome al parco regionale istituito nel 1984, piange di certo il cuore da quasi quarant’anni. Da vicino però, le vituperate antenne sul tetto non si notano poi molto, sono così in alto che sfuggono dal campo visivo. Si sente però un ronzio perturbante.

La facciata a monte dell’Ex Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese (1033 m), un primo pomeriggio piovoso di metà maggio, non meraviglia più di tanto. Ci sono due macchine posteggiate davanti. Una deve essere di Sasanca, il custode dello Sri Lanka che da diciassette anni abita qui. In alcune delle duecento stanze vuote. Sopra l’entrata, attraverso i contorni di quattro lettere in stampatello, si può decifrare a malapena la parola Tanz. È un rimasuglio, impercettibile se andate di fretta, delle riprese terminate nel gennaio dell’anno scorso. Quando è stato scenograficamente trasformato nella prestigiosa e fittizia accademia di danza a Friburgo in Brisgovia. Dove nel film originale di Dario Argento – il cui titolo tra l’altro è ispirato a Suspiria De Profundis (1845) di Thomas De Quincey – avvengono i delitti delle giovani ballerine. Cerco di aggirare il «Grande Albergo» com’è segnalato sulle cartine topografiche e sui cartelli dei sentieri, ma una rete metallica ne vieta l’accesso. La vista è pazzesca anche in una giornata capricciosa. Provo dall’altra ala. La facciata a valle mostra già un cambio di passo: finestre ovali come enormi oblò, pietra viva.

Una donna è seduta nel bosco. Sopra l’entrata di una grotta scoperta durante i lavori del Grand Hotel inaugurato nel 1912. Sta facendo «delle misurazioni per il GPS», il sistema di posizionamento globale la cui sola idea mi disorienta. Anche qui non si passa. Eppure questa è la parte che vale la pena, si intravede già l’eccentrica apertura del grandioso portico. Più in alto, i guizzi inconfondibili del maestro indiscusso del ferro battuto: Alessandro Mazzucotelli (1865-1938). La speleologa dilettante conosce un varco e mi accompagna. «Mio nonno ha fatto l’imbianchino qui» mi confessa fiera. Dice anche che Sasanca si terrorizza facilmente. Un giorno che era scesa giù nella grotta con un gruppo, sentendo dei rumori, ha chiamato i carabinieri.

A bocca aperta lascia questa parte spregiudicata del Grand Hotel del Sommaruga. Il portico, ricavato sotto il corpo centrale proiettato verso il panorama, sembra una misteriosa grotta artificiale. Il bugnato della grande arcata incontra e si appoggia su capitelli di calcestruzzo floreale. Altri ghiribizzi decorativi sono ai piedi nel punto di partenza dell’arco, dando una parvenza quasi ovoidale di traverso, all’apertura. Dentro, tripudio di laterizi a volta. Guardando fuori, la prima arcata inquadra le conifere, la seconda la sala-ristorante a bovindo. Uscendo dalla terza arcata al centro – dove avrebbe dovuto approdare la funicolare nel progetto originario – naso all’insù ed ecco la movimentata balconata protesa che sembra aver ispirato certi disegni futuristi mai realizzati di Sant’Elia. Il movimento è accentuato dagli slanci magistralmente intrecciati da Mazzucotelli, del quale dovrebbero esserci anche dei doccioni a forma di drago. Mica depredato solo dentro dunque; del resto lì ci sono dei ganci per dei lampadari spariti.

Ritorno sui miei passi e sul letto del bosco noto i petali a elica delle pervinche minori. Altrove trovo i resti della funicolare liberty, sorprendono i pisciatoi anch’essi liberty, lì a fianco. Di nuovo davanti al grande albergo, mi chiedo come faccia il custode srilankese e famiglia a vivere con tutte quelle antenne ronzanti sopra la testa. Un incubo è stato girare qui per l’attrice Dakota Johnson: secondo le sue dichiarazioni al mensile «Elle» è finita perfino in analisi.