Evviva l’ipocondria

/ 10.02.2020
di Bruno Gambarotta

Lorenzo Marone pubblica da Einaudi l’Inventario di un cuore in allarme dove compie una disanima, molto divertente, delle varie forme che nella sua vita assume l’ipocondria. Non solo i neuroni-specchio, esistono anche i libri-specchio: leggendoli, le nostre emozioni respirano in sincrono con quelle dell’autore. Se il lettore è a sua volta un ipocondriaco, emergono i ricordi delle tante volte in cui ha dovuto fare i conti con questa sindrome.

La più impegnativa per me è la claustrofobia, per cui non prendo mai l’ascensore e salgo le scale a piedi anche se devo portare una valigia. Qualche rara volta succede che io mi venga a trovare davanti alla porta di un ascensore con persone che non voglio che scoprano questa mia debolezza. Entro nella cabina con gli altri e trattengo il fiato fino a quando non arriviamo al piano e le porte si aprono. Chiudo gli occhi ed è tale la concentrazione che, con la sola forza del mio pensiero, talvolta riesco a far bloccare la cabina fra un piano e l’altro. Le forme che assume l’ipocondria sono pressoché infinite.

Marone prova a stenderne un catalogo, per forza di cose parziale. Analizzandolo, deduco che sono un checkers, in pratica verifico le chiusure più volte in un breve arco temporale. Alla sera, quando in casa ci siamo tutti, chiudo con tre mandate la porta d’ingresso. Salvo essere già a letto, sotto le coperte, dopo aver posato sul comodino il libro e aver spento la luce, chiedermi se la porta è stata chiusa o no. Visto che nel dubbio non riuscirei a dormire, mi alzo vado nell’ingresso e naturalmente scopro che le tre mandate alla chiave erano già state date ore fa.

Sono anche un orders, uno che ama mettere ordine nel caos. Non posso mettermi a letto e dormire se la cucina non è in perfetto ordine. I miei famigliari lo sanno e biecamente ne approfittano nelle sere in cui esco per andare a teatro o ai concerti. Rientro quando tutti gli altri dormono già, cosciente del fatto che se riesco a non vedere il caos che regna in cucina sono salvo. Mi ricordo che devo assumere una medicina e per prendere un bicchiere d’acqua dal frigo entro in cucina al buio. Apro lo sportello del frigo e quella maledetta luce del suo interno è fioca ma sufficiente a illuminare il caos. Indosso il grembiule e mi metto a pulire. Volete sapere come trascorro i giorni successivi al Natale quando il tempo si ferma e non succede nulla? Svuoto uno per uno per uno i cassetti di tutta la casa e li metto in ordine. Non c’è piacere più grande.

Secondo Lorenzo Marone l’ipocondriaco è un anticipatorio cronico. Verissimo, se devo prendere un treno esco di casa molto prima dell’orario di partenza così che se alla stazione dei taxi non ci sono macchine faccio in tempo ad arrivare a piedi. Sono più di quaranta anni che abito in questa casa e mai una volta ho visto la stazione dei taxi deserta di auto, ma non è detto, può sempre succedere. Esco e scopro che di taxi fermi ce ne sono sei e così arrivo in stazione quando ancora non è indicato il binario di partenza del mio treno. O meglio del «nostro», perché da qualche anno mia moglie mi accompagna nei viaggi e vi lascio immaginare la sua faccia quando la costringo a sostare per ore in stazione.

Nel libro un capitolo è dedicato ai grandi ipocondriaci della storia, primo dei quali Alessandro Manzoni, un autore da me amatissimo anche per questo motivo. Un paio di ipocondriaci famosi li ho visti da vicino. Paolo Conte se sfiora lo spigolo di un tavolo deve subito toccare gli altri tre. Cerca di farlo con disinvoltura e i presenti fanno finta di non accorgersene. Quando esce sul pianerottolo e deve chiudere la porta d’ingresso vuole farlo non con le mani ma con il gomito. Non è una manovra semplice e talvolta tocca inavvertitamente la maniglia. In quel caso sente la necessità di correre su e giù per la scale della casa per toccare, questa volta con le mani, tutte le altre porte. Guai se in sua presenza qualcuno canta o fischietta Lilì Marlene.

Quanto ad Adriano Celentano era per me una pacchia andare al ristorante con lui. Il titolare, lusingato, gli proponeva carne o pesce. Adriano rispondeva pesce e i cuochi gli cucinavano del pesce stupendo. Il padrone arrivava con un enorme piatto di portata, lo posava davanti a lui e si esibiva nella delicata operazione di spinarlo. La parti pregiate finivano in un piatto destinato a Celentano che lo punzecchiava con la forchetta e poi, andato via il titolare, me lo passava per paura che una lisca gli finisse in gola.

E il rapporto con il cibo? «Ipocondriaci e salutisti sono un ossimoro»: noi mangiamo di tutto per calmare l’ansia. Il mio nome di battaglia è «la volpe del dessert». L’Inventario si conclude con una consolatoria lezione di vita. Dopo avere citato Philip Roth («la vita è solo un breve periodo di tempo in cui siamo vivi») contrappone la rassegnazione all’accettazione. Non dobbiamo mai rassegnarci ma accettarci con tutti i nostri difetti e tutte le nostre ipocondrie.