Esquimesi e resilienti

/ 09.08.2021
di Paolo Di Stefano

«Mi sento il mondo addosso». Con queste parole, la ginnasta americana Simone Biles a Tokyo ha deciso di rinunciare a diverse gare, dopo aver commesso un errore clamoroso al volteggio. Incredibile per lei che è la più forte ginnasta in circolazione e forse la migliore di tutti i tempi. La più forte e la più fragile. Si è molto parlato di fragilità, commentando le dichiarazioni di Simone. Che ha cercato di spiegare: «Non mi fido più di me stessa… non provo più gioia. Lotto contro la mia testa, sono preoccupata dei commenti su di me, ho bisogno di una pausa». E si è presa una pausa, sottraendosi al giudizio e dimostrando così, nel momento della massima vulnerabilità, il coraggio di dire no (6 al suo no). Per cui, quando poi ha partecipato alla prova della trave (che non era la sua specialità) e ha concluso l’esercizio con un magnifico sorriso, arrivando terza, l’applauso è esploso meritatissimo. Ma il gesto da standing ovation resta la decisione di pronunciare davanti ai media di tutto il mondo la frase più inequivocabile (6): «Io valgo più dei miei risultati».

«In tempi bui è difficile ritirarsi nell’ombra», ha scritto il grande umorista polacco Stanislaw Jerzy Lec: Umberto Eco consigliava a tutti di tenere sul comodino i suoi Pensieri spettinati (5½) per aprirli a caso prima di addormentarsi. Si potrebbe postillare la frase di Lec precisando che è difficile ritirarsi nell’ombra anche in un mondo che sta tutto sotto i riflettori e dove persino l’ombra è in piena luce. Un altro motto di Lec da incidere sul marmo della nostra presunzione sarebbe questo: «Ci saranno sempre degli esquimesi pronti a dettare le norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura». Sacrosanto.

L’elenco delle «norme» che vorrebbero applicare molti venditori di bufale (o fake news) vaccinali è interminabile e l’ha stilato la scorsa settimana Milena Gabanelli (6) sul «Corriere della sera». Tutte denunce diffuse a livello planetario e apparentemente serissime, peccato che siano prive di qualunque fondamento. Decine e decine di macroscopiche menzogne divulgate a raffica da fonti on line di disinformazione medica. Una per tutte a mo’ d’esempio? L’ossido di grafene comporrebbe al 99% uno dei vaccini in circolazione, ma in realtà quella sostanza non compare neanche all’1% tra gli ingredienti di nessun vaccino. Si potrebbe continuare all’infinito.

È pur vero che i virologi e gli epidemiologi non hanno dato una gran prova di sé (3+), tra dichiarazioni e smentite, scontri di opinione, esibizionismi e litigi a reti unificate. È pur vero che i politici, che dovrebbero operare nell’interesse della collettività che governano, hanno sparato e continuano a sparare qualunque stupidaggine purché riesca ad aumentare i consensi.

Di fronte a certi spacciatori di fake news e di fumo, viene sempre in soccorso il vecchio Stanislaw: «Tutti vogliono il vostro bene, non fatevelo portar via» (5+). Che fare per non farselo portar via? Non sarà più di moda, ma ricordo un pensiero straordinario del filosofo ed epistemologo (ma forse anche un poco epidemiologo a suo modo) Karl Popper: «All’uomo irrazionale interessa solamente avere ragione, all’uomo razionale interessa imparare» (6+++). Imparare, per esempio, che cos’è l’ossido di grafene, prima di cliccare per contribuire alla menzogna planetaria.

Ma anche imparare a calibrare le parole. «Resilienza» è una delle più abusate degli ultimi mesi: resilienza della fede ma anche resilienza dell’economia, resilienza degli esercenti ma anche resilienza del clima, resilienza dell’agricoltura ma anche resilienza del turismo, resilienza aziendale ma anche resilienza alimentare, resilienza urbana ma anche resilienza delle aree forestali ma anche resilienza informatica ma anche resilienza olimpica e più in particolare resilienza del basket, del volley, della scherma eccetera… E ora c’è chi propone un reddito di resilienza per quei cittadini che decidono di non abbandonare le zone periferiche a rischio di spopolamento.

La parola nacque nel campo della fisica (equivalente alla resistenza dei materiali agli urti) e non a caso troviamo l’aggettivo «resiliente» in un racconto dello scrittore-scienziato Primo Levi. Poi la parola è stata adottata dalla psicologia: il neuropsichiatra francese di origine ebraica Boris Cyrulnik la adottò per indicare la capacità di reagire alle violenze subite dall’infanzia ma anche in relazioni ai traumi vissuti durante le deportazioni naziste. Una parola nobile e tragica svalutata a passe-partout buono per ogni occasione. «In situazioni difficili, – ha scritto Cyrulnik – essere resilienti non significa negare il dolore, ma essere capaci di trasformare una esperienza dolorosa in apprendimento, riorganizzando la propria vita e rendendo tale esperienza un’occasione formativa». La piccola grande Simone, testimone ideale della resilienza.