Siamo tutti narcisi. Teniamo maledettamente alla nostra immagine. Tranne, forse, gli spiriti così liberi da non sentirsi toccati dallo sguardo giudicante del mondo e i trasandati per sbando, per scelta o per disagio. Come i senzatetto che ho visto spuntare ai margini di alcuni scali ferroviari, nemici giurati del look e del sapone. Ma noi altri, siamo tutti più o meno velatamente vanitosi.
Lo vedo quando adocchio certe anziane signore in fondo al bar, mentre bevono il té al tavolino d’angolo, fresche di parrucchiere e luccicanti di gioielli. «Sei bellissima», mi piacerebbe dire ad ognuna di loro, certo che si schernirebbero divertite.
Così, quando ho letto sul Corriere della Sera che l’attrice e regista Fanny Ardent – musa di Truffaut (ex compagno), Scola, Zeffirelli e non proprio una cozza – non si è mai piaciuta, mi sono cadute le braccia. Se lo pensa lei, icona transgenerazionale d’avvenenza, cosa dovrebbero pensare le/i comuni mortali?
Eccessi di autocritica a parte, l’Ardent è donna intelligente. «Io mi sono dovuta costruire – spiega nell’intervista – ho lottato contro la bruttezza. E a questo punto della mia vita (oggi ha 74 anni, ndr), più mi nascondo dietro una falsa età, più è difficile invecchiare. (…) Della vita non bisogna mai lamentarsi di invecchiare e di pagare troppe tasse. Se ne paghi troppe vuol dire che guadagni bene. A 15 anni capisci che nella vita c’è un inizio, uno sviluppo e una fine. Voler nascondere il tempo mi sembra da vigliacchi».
E brava Fanny che paga le tasse e non gioca a nascondino con l’età. Le ha fatto eco, negli stessi giorni, un’altra rappresentante di oblunga e lattiginosa beltà: Carla Bruni in Sarkozy (55 anni) che in un post su Instagram si è pronunciata contro i filtri di bellezza nei social. Ovvero, contro quei programmi di trattamento delle fotografie che con un clic cancellano rughe, liposuzionano fianchi e modellano glutei permettendo di diffondere immagini di te «idealizzate» e/o bassamente tarocche. L’effetto dei filtri, ha spiegato l’afona cantautrice italo-francese, «non è tanto di lisciare la pelle, ma di far finta di appartenere alla famiglia Kardashian», alludendo alle piacenti sorelle americane che hanno il merito di incarnare il concetto anglosassone di «famous for being famous», cioè in soldoni di essere famose senza uno straccio di motivo.
L’allarme della Bruni risuona in diapason col sorprendente successo di BeReal, il nuovo social di cui parliamo a pagina 12 che pubblica foto di ragazzi che mirano «a catturare momenti in tempo reale, senza programmi di editing, filtri o qualsiasi altro espediente usato per modificare lo scatto originale». Segno che anche fra i giovani, che hanno comunque il vantaggio della freschezza fisica rispetto alle generazioni precedenti, il bisogno di autenticità può prevalere su quello di apparire migliori dell’originale.
Speriamo che l’idea di mostrarsi per quello che si è non sia una moda passeggera. Non solo perché siamo stufi di volti e corpi falsificati sui social e delle apparizioni in tv di personaggi pubblici mummificati dentro plastiche facciali, e non solo, imbarazzanti. Ha parlato chiaro, la bella Fanny: nella vita c’è un inizio, uno sviluppo e una fine. Prima o poi, per stare sereni, dobbiamo piacerci così come siamo e, con gli anni, imparare a sfiorire con dignità. L’antidoto alle imperfezioni fisiche e alle ferite del tempo che avanza non è la crema anti-age (definizione bugiarda) o il filtro fotografico snellente. È la tenerezza verso gli altri e verso se stessi.