«Quelli che creano sono duri di cuore».
Friedrich Nietzsche
Parole per incuriosire la lettura di un libro: «A un certo punto del secolo scorso si è sentita risuonare una parola rotonda ed espressiva: ”creatività“. I discorsi sulla creatività si sono presto infittiti e allargati a ogni ambito dell’attività umana: la creatività è dei designer e dei cantautori, degli stilisti e dei programmatori di computer, dei pubblicitari e dei bricoleur, dei bambini e dei tecnologi. Che cosa esattamente esprima una parola tanto espressiva è difficile, anzi, impossibile da precisare. Intanto questi discorsi hanno però finito per edificare una sorta di piramide che dalla terra punta verso il cielo. La creatività eleva: come l’artista con la sua opera sembra voler emulare il Creatore, così chiunque può sperare di parere un artista, grazie alla propria creatività».
Che cos’è la creatività? Che domanda: è come il tempo per Agostino, o l’arte per Croce: tutti sappiamo di che si tratta, fino a quando non ci chiedono di definirla. Adesso ci ha provato Stefano Bartezzaghi con Mettere al mondo. Tutto quanto facciamo per essere detti creativi e chi ce lo fa fare (Bompiani, 2021). Scrive Bartezzaghi: «Il sociologo Andreas Reckwitz ha descritto il manifestarsi della creatività come un evento privo di precedenti storici, che appartiene all’ultimo terzo del ventesimo secolo, era in preparazione dalla fine del diciottesimo e in marcata accelerazione dall’inizio del ventesimo».
La periodizzazione è approssimativa (come è saggio che sia) e non è indiscutibile (come è normale che sia): ma quello che più ci interessa è il fatto stesso che una periodizzazione sia possibile. All’assenza di precedenti storici Reckwitz si riferisce nel suo libro intitolato L’invenzione della creatività: titolo quasi provocatorio, se si pensa che la creatività, come tutte le altre mitologie sociali, viene per il solito presentata come emanazione naturale. Sono molti gli autori, oltre al sociologo tedesco, che collocano i prodromi della creatività alla fine del Settecento. Il riferimento rimanda al Romanticismo e all’idea dell’arte come creazione umana: «Sdegno il verso che suona e non crea», scrive Ugo Foscolo, nel poemetto dedicato alle divinità latine della bellezza Le grazie (1812).
Creare significa «produrre dal nulla», ha la stessa radice di «crescere», e più in generale si riferisce al gesto di far nascere qualcosa di nuovo elaborando in modo originale elementi preesistenti. Per esteso, è la capacità che consiste nel cogliere i rapporti fra le cose o le idee in modo nuovo o nel formulare intuizioni non previste dagli schemi di pensiero abituali o tradizionali.
Ma prima del Romanticismo non si parlava di creatività? Si deve ai retori latini la prima elaborazione dell’arte della creatività, meglio dell’arte dell’inventare e delle sue tecniche. Cicerone scrisse un apposito trattato, De inventione, e l’inventio occupa sempre la prima sezione dei manuali latini di retorica. Ma l’invenzione teorizzata dai latini si riferisce prevalentemente alle argomentazioni dei dibattiti giuridici; quindi è di fatto un’invenzione in tono minore rispetto alla grande arte greca dell’inventare concetti, temi e soluzioni, la hèuresis, che costituì il vanto di Gorgia e del suo discepolo Isocrate. È appunto alla scuola di Gorgia che risalgono le prime tecniche volte a stimolare, con appositi accorgimenti, l’invenzione dei concetti.
Se la creatività parte da un modello rischia di non essere originale, se rinunzia a ogni modello rischia di concepire cose rozze o banali. Fu per questo che la retorica gorgiana ideò, quale tecnica dell’inventare, una terza via: partire da un antimodello anziché da un modello.
Ai nostri tempi, C. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca hanno notato come la tecnica dell’antimodello congiunga al vantaggio di stimolare la creatività a contrario anche quella di non escludere la possibilità di derivare qualche idea o qualche procedimento parziale proprio dallo stesso antimodello: «È noto che la competizione sviluppa la rassomiglianza tra antagonisti che alla lunga prendono l’uno dall’altro tutti i procedimenti efficaci».
Quel che è certo, è comunque che, per quanto nelle varie epoche e culture le sfumature e le valorizzazioni della creatività mutino e anche di parecchio, il nesso con la creazione divina resta sempre, più o meno palesato, più o meno sacralizzato o secolarizzato. Il creativo è un simulacro del creatore per antonomasia, di quella divinità che, sola, secondo il senso comune, ha saputo inventare il mondo dal nulla, senza cioè metterlo al mondo.