Elin Danielson

/ 17.10.2022
di Melania Mazzucco

Nel 1896, quando ci arriva Elin Danielson, Antignano è un borgo di campagna separato da Livorno, ma conveniente per chi desidera prendere i bagni di mare senza spendere troppo. Elin è una pittrice, e pure abbastanza nota per i ritratti e le figure femminili in interni: in Dopo colazione, del 1890, ha raffigurato una ragazza al tavolo con in bocca una trasgressiva sigaretta; in Sorelle, del 1891, due fanciulle in salotto all’ora del tè, intente a leggere e cucire. Ma è interessata al mondo del lavoro, e ha dipinto anche Raccoglitrici di patate (1893) e una Ragazzina al forno (1894). Ad Antignano cerca sole e soggetti per i suoi quadri (lavandaie, contadine). I vicini la notano per l’aspetto (nordica, bionda, graziosa) e per il comportamento: riservata, indipendente. Insomma, una donna sola.

Viene da molto lontano, ma gli italiani il suo paese non l’hanno mai sentito nominare – del resto la Finlandia è un granducato all’interno dell’impero russo. Elin era nata trentanove anni prima a Normaakku, un villaggio sul golfo di Botnia. Nel 1872, a nove anni, era rimasta orfana del padre, morto suicida: l’aveva cresciuta lo zio materno, che a quindici anni le permise di frequentare la scuola di disegno a Helsinki. Si specializzò in nature morte e figure. Sembrava destinata a un’oscura carriera di insegnante ma nel 1883 ottenne dal Senato una borsa di studio per trasferirsi a Parigi. Frequentò l’atelier di Rodin e poi si spostò in Bretagna, a Pont-Aven e Concarneau, dove gli artisti dipingevano paesaggi en plein air. Da allora, alternò ritorni in patria a soggiorni e viaggi nelle capitali europee. Nel 1896, un’altra borsa di studio la ricondusse a Firenze. Doveva prepararsi all’ammissione all’Accademia. Ma era estate e preferì la costa.

Ad Antignano incontra un pittore, Raffaello Gambogi, legato al gruppo dei post-macchiaioli. Allievo di Giovanni Fattori, paesaggista, nel 1894 è fatto conoscere con Emigranti – sul soggetto del momento: l’emigrazione di massa degli italiani verso le Americhe. Ha appena vinto un premio per Uscita dalla messa. Nonostante la differenza d’età (lui è più giovane di tredici anni), di esperienza e di vita, Elin e Raffaello si innamorano, si fidanzano e nel febbraio del 1898 si sposano. Si trasferiscono a Torre del Lago, dove frequentano il circolo dei sostenitori di Puccini La bohème. Aggiornato da Danielson, Gambogi progredisce. È il dono di Elin. Anche con l’amore precedente era stato così. Fra il 1890 e il 1895 aveva fatto coppia con Gustav Vigeland. Oggi è considerato il principale scultore norvegese, e Oslo gli ha dedicato un parco urbano con centinaia di opere. Ma quando incontrò Elin era solo un intagliatore di ventun anni, figlio di contadini, che sognava di diventare scultore. I viaggi che fece con lei lo dirozzarono e fecero di lui un’artista.

Tuttavia è un periodo felice anche per lei. Un suo quadro, Estate, viene acquistato dal re d’Italia, Umberto (per 4000 lire), e Sera d’inverno accettato alla Biennale di Venezia. Nell’autunno del 1899 si ammala di tifo, e trascorre la convalescenza ad Antignano. Vi dipinge Il filo del bucato: una donna stende la biancheria, nella luce calda dell’estate. Immagine di serenità ingannevole, perché invece Gambogi la tradisce con la pittrice Dora Wahlroos, amica di lei e loro ospite, e il matrimonio esplode. Un viaggio in Finlandia non migliora la situazione: Gambogi ha un crollo psichico. Al ritorno in Toscana, nel 1902, come l’ibseniana Nora, Elin abbandona il marito e fugge. Poi ritorna e acconsente a seguirlo a Volterra, dove lui inizia a curarsi nel manicomio diretto da Luigi Scabia. Contrario alla contenzione, lo psichiatra organizza spettacoli e attività teatrali, e sperimenta l’ergoterapia. I bei tempi della Bohème però non ritornano. Elin deve lottare con la povertà, la malattia mentale del marito, la solitudine: per gli italiani, è solo la moglie straniera di un «pazzo».

Ma non si lascia strappare la pittura. La sua ultima opera, La filatrice, è ancora sul lavoro femminile: una sinfonia rosso e oro in un interno, con una donna di mezza età alla ruota della tessitura. È un quadro naturalistico, eppure simbolico. Anche il filo della vita di Danielson è ormai sottile. Muore il 31 dicembre del 1919, di polmonite. Come almeno cinquanta milioni di abitanti della terra, vittima dell’epidemia di spagnola.