Un cameriere volante sui pattini da ghiaccio, in frac, con sullo sfondo le pinete intorno al sottostante lago ghiacciato di St. Moritz, riemerge, l’altro giorno, dalla memoria. È uno scatto di Alfred Eisenstaedt (1898-1995), fotografo tedesco naturalizzato americano famoso per il bacio appassionato di un marinaio a Times Square appena finita la guerra. Apparso su «Life» il sette dicembre 1936, il luogo è davanti al Grand Hotel svanito in un incendio il trenta giugno 1944. Lì vicino, scopro un altro posto storico, simile a quella pista di ghiaccio naturale dove Eisenstaedt immortala il capocame-riere René Breguet che vola sui pattini portando un vassoio con su bicchieri di cristallo e una bottiglia di porto.
E così parto presto per «sanmorìz» come si dice alla ticinese. Dove come prima cosa, sulla panchina della piazza con la fontana-statua di San Maurizio, divoro una bütschella (una specie di veneziana con l’uva sultantina) bella bruna presa da Hanselmann qui in faccia, in compagnia di un espresso doppio. E via, alla meta, l’Eispavillon del Kulm (1856 m) risalente al 1905, affiancato dalla nuova pensilina-tribuna firmata Foster e inaugurata in occasione dei campionati mondiali di sci 2017, al quale mi avvicino pattinando su un ghiaccio da sogno. Un mix di heimat e jugendstil, rinnovato fedelmente, per i mondiali, dopo anni di oblìo iniziati alla fine degli anni ottanta. Molto legno, un po’ di pietra, neve in abbondanza, sopra il tetto e tutto attorno. Accanto, dopo un giro di pista, assaporo il larice chiaro curvato del padiglione di Foster + Partners. Studio londinese capitanato da Norman Foster, architetto inglese classe 1935 del quale non sono un gran fan, conosciuto per il grattacielo-cetriolo high-tech nella City di Londra. Chesa futura, per esempio, una specie di casa-navicella spaziale a forma di fagiolo non lontana da qui, ricoperta di scandole, non mi fa impazzire.
Il padiglione-tribuna invece è una costruzione onesta. Non disturba in nessun modo, anzi. Lascia persino lo spazio, al neoromanico della chiesa consacrata al santo martire-toponimo, di affacciarsi sull’incantevole pista di ghiaccio naturale del Kulm. Aperta tutti i giorni dalle dieci alle cinque, vanta un icemaster che ne cura la superficie, condivisa adesso, verso l’ora di pranzo, con tre bambini. Sfreccio di nuovo, con più velocità, per un’altra carrellata del padiglione del ghiaccio, noto oggi anche come Kulm country club che ospita un bar e un ristorante. Una raccolta di memorabilia legate alle due olimpiadi invernali, decora gli ambienti. A non molte centinaia di metri da qui, del resto, c’è la mitica pista olimpica di bob visitata tempo fa e il percorso di slittino della leggendaria Cresta Run. Occhiate di sole trasformano il posto in un piccolo paradiso per pattinatori. Il ghiaccio riluce e il paesaggio attorno scintillante lo assorbe del tutto, grazie anche all’aria sopraffina. Fa capolino il campanile pendente e lì accanto, affacciato sul lago, svetta il Kulm Hotel. Mi fa venire in mente una torta a strati, uno dei quali è di un bel color zabaione. Lì dentro davanti al caminetto, si sa, nel 1864, per scommessa, Johannes Badrutt inventa le vacanze invernali sportive. Levo il mongomeri e sciarpa, basta il pullover. Laggiù alle spalle del Kulm, spuntano le montagne del Maloja avvolte sempre in una speciale luce mutevole. Con la musichetta jazz mi lascio andare a qualche passo di danza. In un angolo c’è lo spazio, vuoto, per il curling, tradizione qui fin dal 1883. Dietro il curling, le montagne di Segantini. Altro che camerieri in frac: da solo mi servo dalla thermos l’earl grey.
Poi riprendo a pattinare, per ore. Non riesco a smettere, non mi divertivo così da anni. Sarà l’influsso foxtrot delle magnifiche pinete attorno al lago su verso il Piz Rosatsch. In pista, ammiro al contempo i volteggi di Valentina, la maestra di pattinaggio che si scalda prima delle lezioni. Nel pomeriggio una biondina con una cuffia rossa a pon pon prende lezioni da lei per qualche acrobazia abbordabile, un gruppo di amici si ritrova per una partita di hockey, padri e figli, coppie, altri pattinatori contemplativi, animano quest’angolo di mondo. Dove anche la brigata di sala, catturata con la Leica in vari scatti da Eisenstaedt nel suo memorabile fotoreportage, è rimasta di sale, nell’inverno del 1928, guardando volteggiare Sonja Henie (1912-1969). All’epoca sedicenne, in un vestitino di velluto e cappellino di moda in quegli anni ruggenti, la pattinatrice norvegese sarà una delle più grandi di tutti i tempi. Nessuno si dedica al curling. Forse aspettano tutti l’appuntamento del giovedì, quando c’è il curling bavarese. Me lo segno in agenda, il mio sogno però è il ghiaccio nero. Fenomeno raro ma ricorrente, in assenza di nevicate recenti, qui in Engadina, per qualche giorno. Momento magico non privo di rischi dove pattinare sui laghetti ghiacciati, la cui superficie traslucida scricchiola – come ho sentito l’anno scorso, in gennaio, passeggiando proprio qui intorno al lago di San Murezzan – riverberando dei suoni tra il richiamo amoroso delle balenottere e la techno anni novanta.
Intanto mi accontento di ammirare la superficie del ghiaccio graffiata da un groviglio di tragitti, messi in risalto nella luce engadinese verso le cinque di una domenica pomeriggio di febbraio. Ghiribizzi di una bellezza non minore ai migliori De Kooning, Pollock, Kline.