Effetto Covid: più uniti o più divisi?

/ 25.01.2021
di Luciana Caglio

Adesso è la volta del vaccino, la cosiddetta luce in fondo al tunnel che, però, non si è accesa per tutti. Un farmaco, frutto di ricerche e sperimentazioni scientifiche e tecnologiche condotte sul piano mondiale, non ha ottenuto unanimità di consensi, anzi tutt’altro. È, del resto, la sorte che, nell’era del politically correct, spetta sempre più ai prodotti della chimica, la multinazionale per antonomasia, sinonimo di speculazioni giocate sulla nostra pelle. Mentre conquista simpatie e fiducia il filone verde, accortamente pubblicizzato. In definitiva, è anche questione d’immagine. Da un lato, un rimedio naturale, ricavato da erbe, fiori, cortecce, che suscita visioni di prati, giardini, boschi. Dall’altro, un artificio, che evoca un passato di stregoni alle prese con alambicchi e pozioni misteriose, e un presente associato a un universo inaccessibile alla nostra comprensione, quali sono i centri di ricerca ai più alti livelli. Proprio da lì, da imprese che si chiamano Pfizer, Moderna e consimili, arriva un ritrovato che le circostanze hanno reso simbolico: dalla sua distribuzione capillare dipenderà la sconfitta definitiva del Covid 19.

Ora, trattandosi di un vaccino, appartiene proprio ai farmaci più esposti a sospetti e timori tanto da alimentare correnti d’opinione e addirittura partiti politici, all’insegna del no vax. Sigla vincente, e non soltanto nell’Italia di Grillo e dei 5 stelle, ma, in forma più tranquilla, si è radicata nelle convinzioni di non pochi nostri concittadini.

Ma la campagna vaccinale, avviata nelle ultime settimane dalla Confederazione, non dovrà fare i conti unicamente con i prevedibili contestatori no vax, già attivi nei confronti del vaccino antinfluenzale e persino dell’antimorbillo. Si troverà ad affrontare opposizioni create specificamente dalla pandemia. Al pari di una guerra, e a suo modo lo è, la lotta contro il virus sta suscitando reazioni anomale: ispirate al bisogno di denunciare i responsabili di tutto questo guaio. E più a portata di tiro, ecco il politico, il burocrate, il medico ufficiale che, anche con le vaccinazioni hanno sbagliato.

Primo rimprovero: la Svizzera, innanzitutto, è partita in ritardo, non ha provveduto a rifornirsi di fiale a sufficienza. Poi la somministrazione, praticata in luoghi lontani e scomodi, e, non da ultimo, i criteri con cui si è stabilita la precedenza. In questo clima di risentimento civico, dove il cittadino rivendica le sue libertà, compresa quella di rifiutare il vaccino, diventa difficile osare contrapporre la voce di un consenso. Tuttavia ci provo, sulla scorta di un’esperienza personale. Per via dell’anagrafe, ho avuto il privilegio, chiamiamolo così, di appartenere al primo gruppo di vaccinandi. Correndo il rischio di apparire una cittadina, succuba del potere, non posso che dire: tutto ok. L’intervento si è svolto in modo esemplare, nella sede della protezione civile di Rivera, adeguatamente convertita alle esigenze del caso. All’ospite-paziente è stata riservata un’accoglienza  puntuale, efficiente, rapida e, non da ultimo, cordiale da parte di addetti ai lavori ben preparati, anche dal profilo psicologico. Al riparo persino dal rischio di quel paternalismo che, non di rado, vizia i rapporti con i vecchi.

Qui, infatti, si tocca un’altra conseguenza del Covid: quella appunto di ripristinare categorie particolari, in una popolazione che si era illusa di averle amalgamate in una convivenza ben funzionante. Invece il dovere di rispettare la distanza fisica, necessaria dal profilo sanitario, ha avuto ripercussioni insidiose sui rapporti umani allargando il divario fra generazioni e ceti sociali. Ecco i giovani sotto accusa, responsabili con la movida d’incrementare i contagi e, d’altro canto, i vecchi da isolare per via della loro vulnerabilità. Per non parlare delle rivalità sul fronte dei commercianti e degli imprenditori colpiti da provvedimenti, discussi e discutibili: del tipo fioristi aperti e librerie chiuse? E, conseguenza della precarietà economica, un diffuso impoverimento che, nella Svizzera per definizione benestante, ricrea la categoria dei bisognosi autentici e, purtroppo, anche quella dei profittatori che battono cassa allo Stato alla caccia di sussidi forse immeritati.

Per rispondere al nostro interrogativo, il Covid appare più divisivo che unificante. A parte, ovviamente, le lodevoli eccezioni di chi, negli ospedali e anche nella vita sociale, si è sacrificato al servizio della comunità.