Non amo i vaccini ma per quello del Covid mi sono subito messo in lista d’attesa nella categoria degli ultraottantenni. La memoria ritorna a un altro vaccino, una storia di una ventina d’anni or sono. Il tutto ha inizio con la proposta di un’agenzia di viaggio: «Ti andrebbe di intrattenere 230 persone che compiono un viaggio premio di dodici giorni in Vietnam, Cambogia e Malaysia? In cambio viaggi gratis». «Quando partiamo?».
Moglie e figli, invidiosi della fortuna che mi è capitata, tentano di insinuare una crepa nella mia felicità, consci della mia diffidenza per l’arte medica: «Chissà quante vaccinazioni dovrai fare!». Invece un memorandum dell’agenzia informa che non sono richiesti certificati di avvenuta vaccinazione. Al limite «si consiglia il trattamento antimalarico». Poco male, si tratterà di mandar giù con un po’ d’acqua una pastiglia di chinino ogni mattina. Pura illusione.
Il medico di famiglia mi informa che la zanzara anofele moderna si è emancipata e con il chinino ci fa la birra, per prevenire la malaria esistono farmaci ben più efficaci. «Te ne prescrivo uno che va preso da una settimana prima della partenza e continuato fino a una settimana dopo il rientro». Per fortuna non sono iniezioni ma semplici pastiglie. Sente il bisogno di avvertirmi: «Tieni presente che questo farmaco presenta qualche effetto collaterale». «Sarebbe?», domando con un tremito nella voce.
Il medico sfila dallo scaffale il trattato sulle malattie tropicali e inizia a leggere: «Gli effetti collaterali più frequenti sono danni al fegato, nausea, vomito, giramenti di testa, sonnolenza, torpore, letargia, stati confusionali, difficoltà nella parola e nell’articolazione degli arti. Segue l’elenco di quelli che hanno una percentuale più bassa. E sono...». «Fermati! Ho capito: fare un viaggio in stato comatoso deve essere il massimo della goduria!». Il medico mi viene incontro: «Io, al posto tuo, non farei il trattamento, lascerei perdere. Al limite mi limiterei a ricoprire di Autan le parti dell’epidermide esposte al tramonto quando la zanzara anofele entra in azione. Poi però se ti prendi la malaria non venirmi a dire che è colpa mia, che ti ho consigliato male».
E questo sarebbe un amico! Per maturare una decisione sensata, tornato a casa, consulto l’enciclopedia medica (Wikipedia non esisteva ancora). Apriti cielo! Scopro l’esistenza di un ampio catalogo dove posso scegliere la malaria preferita, la terzana benigna, la quartana, la terzana maligna e avanti per pagine e pagine. In compenso la malaria non è l’unico rischio. Abbiamo le malattie da parassiti microscopici, specialità dei paesi tropicali: la schistosomiasi, la tripanosomiasi, l’amebiasi, la giardiasi, la leishmaniosi.
Meglio fermare qui la lettura, quasi quasi trovo una scusa e non parto. Come faccio? Ho detto a tutti quelli che incontravo che stavo partendo per un giro in Asia, non posso tornare indietro. Così sono partito con una confezione da sei di Autan, dimenticando poi lo stick nell’albergo di Saigon quell’unica volta in cui sarebbe stato prudente metterlo in azione, durante una navigazione al tramonto sul delta del Mekong.
Il caso ha voluto che sbarcassimo su un’isola nel momento in cui stava per iniziare una cerimonia nuziale celebrata nello stile tradizionale. Non ci siamo limitati a fare da spettatori ma, volenti o nolenti, abbiamo preso parte al sontuoso rinfresco, un’ulteriore prova di quanto sia gentile e ospitale il popolo vietnamita. Risaliti sul battello, ho commentato l’evento con la signora dell’agenzia: «Siamo stati ben fortunati a capitare al momento giusto». Non dimentico il suo sguardo di compatimento: «Era un matrimonio finto, lo recitano tutti i giorni per i turisti».
Quanto alla malaria l’ho scampata e in compenso ho imparato un sacco di cose dai miei compagni di avventura. Fra i miei compiti di intrattenitore c’era quello di andarmi a sedere ogni volta a un tavolo diverso. Erano tutte persone amabili, con grandi esperienze di viaggio, in grado di mettere a confronto, a pranzo e a cena, una diarrea presa in Malesia rispetto a una diarrea australiana o patagonica. Ho scoperto che ciascuno di loro si era portato in valigia un intero armamentario di medicinali per ogni evenienza. Pronti tutti a venire in soccorso con generosità ai compagni in caso di bisogno.
Nasceva attorno a quei tavoli una vera e propria gara. Era sufficiente che uno dei commensali iniziasse a confidare un qualche disturbo, per lo più collocato nell’intestino, per scatenare una gara di offerte di rimedi. Era commovente constatare con quanto accanimento si contendevano l’onore di curare il compagno in difficoltà. La sera andavo a dormire convinto di stare viaggiando con una comitiva di rappresentanti di industrie farmaceutiche. Dei paesi visitati francamente ricordo poco o nulla ma sulle malattie tropicali e i possibili rimedi potrei intrattenervi per ore.
Effetti collaterali
/ 22.03.2021
di Bruno Gambarotta
di Bruno Gambarotta