Gentile Professoressa,
grazie per la risposta ai Genitori in ansia apparsa su Azione del 12.8.2019, che conservo per i tempi a venire. Sono infatti mamma di una bella bambina di 5 anni, alla quale vorrei trasmettere i valori che ritengo importanti, che vanno dall’altruismo, al rispetto per la natura e dell’altro... cercando di non soffermarmi oltre modo sull’aspetto esteriore. Per quanto io mi curi nell’estetica, credo proprio di non eccedere. Tuttavia la mia bimba da un annetto a questa parte è molto concentrata sul suo apparire: vuole sempre indossare le gonnelline e i vestitini. Difficilmente indossa anche in casa una semplice tuta. Finora riesco a raggiungere spesso (ma non senza scontri) dei compromessi, e provo a smorzare quell’eccesso di vanità, cercando di non demolire la sua autostima. Il mio timore riguarda però la pubertà e l’adolescenza che arriveranno, quando il suo corpo si modificherà. È possibile che la realtà non corrisponderà alle sue aspettative, che qualche brufolo o chiletto di troppo manderanno in crisi l’immagine di «principessina» che ora tanto insegue. Nelle mie intenzioni vorrei darle già oggi le basi per costruirsi quell’equilibrio e quella serenità che le permetteranno di accettarsi per quello che sarà, indipendentemente da qualche diffettuccio estetico, sapendosi valorizzare e nutrendo la sua autostima con le altre importanti qualità che sono certa manifesterà. Mi sento però molto incerta sul percorso da seguire e sulle parole da dire, ha qualche consiglio da darmi? / Serena
Cara Serena,
non possiamo negare di vivere nella «società dello spettacolo» dove l’apparire viene spesso valorizzato più dell’essere, dove l’abito sembra fare il monaco. In realtà non è così perché i valori veri non tardano, prima o poi, a farsi riconoscere. E l’esempio dei familiari è, in questo senso, fondamentale. Ma dobbiamo declinare il problema dell’estetica lungo l’evoluzione psichica. A cinque anni le bambine vivono ancora nel mondo delle favole e il loro pensiero è dominato dalla fantasia. Sognare di essere la principessa riflette gli archetipi della nostra cultura più che l’attualità. La modernità sembra aver superato forme di vita di lunga durata, come il mondo aristocratico, ma esse permangono nell’immaginario inconscio e di lì inviano messaggi che ancora ci attraggono. Non a caso le favole, benché risultino quanto di più lontano dalla nostra mentalità, coinvolgono i bambini come nessun altro messaggio. Solo crescendo, e mai completamente, abbandoniamo quella scenografia, che continua a essere rappresentata nel teatro classico, nel folclore, nel sogno.
Come nonna di una nipotina e di una adolescente noto un passaggio generazionale dallo scintillio degli abiti infantili, adorni di colori, nastri e brillantini, alla severità che subentra con la pubertà, caratterizzata da un abbigliamento sobrio e uniforme sino alla noia. È come se l’allegra mascherata dei primi anni fosse abbandonato sui banchi della scuola elementare. D’ora in poi: capelli lunghi e sciolti, jeans blu, magliette, felpe e scarpe da ginnastica. Le adolescenti sono così omologate che, quando procedono in gruppo, si fa fatica e distinguere l’una dall’altra. Certo le motivazioni sono tante: la difficoltà di accettare le metamorfosi della sessualità, il desiderio di appartenenza al gruppo delle coetanee, il bisogno di segnare una linea di separazione tra la bambina che non c’è più e la giovane donna che verrà. Ma anche il passaggio successivo non sarà facile se è vero, come sostengono molti sociologi del costume, che la moda è finita. Ora tutto è possibile: non si formulano condanne neppure degli accostamenti più improbabili e stridenti. Anzi, sono considerati trasgressivi, originali e irriverenti. Ma che cosa contestano quando tutto è permesso? In fondo la moda, come tante altre forme di controllo sociale, costituiva anche una modalità di orientamento, un ideale in su cui ritagliare, in conformità o in contraddizione, la propria personalità.
Ora è difficile trovare un modo unico e irripetibile di dire, attraverso l’acconciatura e l’abbigliamento: io sono questo. Man mano che acquisiamo margini di autonomia, ci accorgiamo di quanto sia arduo gestire la libertà, di come fosse più facile disegnare il proprio profilo identitario contro qualche imposizione piuttosto che nella totale permissività. Mai, come in questi anni, essere se stessi richiede senso dell’invenzione e della composizione, capacità creative e artistiche che solo una cultura del bello può attivare. Il mio consiglio è di educare sua figlia ad apprezzare e coltivare la bellezza che è sempre anche educazione morale. La possibilità di ideare in modo autonomo il proprio ritratto è una sfida affascinante ma, come tutte le sfide, anche rischiosa. Forse per questo le ragazzine indugiano nel limbo della neutralità e del conformismo rinunciando a realizzare la principessa di un tempo. Una principessa che, se non si risveglia da sola, sarà destinata a dormire per cento anni in attesa del bacio di un principe. Ma ora le ragazze possiedono, se trovano l’audacia di esprimerle, le risorse materiali e spirituali per porre se stesse, compreso l’aspetto estetico, tra le mete da realizzare in modo da divenire, coniugando uguaglianza e differenza, uniche e irripetibili come un’opera d’arte.