Economy first per una America only

/ 06.06.2017
di Peter Schiesser

La minaccia diventa realtà, Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti si ritirano dall’Accordo di Parigi sul clima firmato nel dicembre del 2015. In mezz’ora di discorso, fra gli applausi di molti giornalisti presenti nel Giardino delle rose della Casa Bianca, sono state infrante le già molto tenui speranze di contenere l’aumento della temperatura atmosferica entro i 2 gradi Celsius dall’inizio dell’era industriale. Il presidente degli Stati Uniti ha indorato il macigno che ha scagliato sul mondo affermando che si esce per negoziare un nuovo accordo, più fair per il suo Paese, al contrario di quello di Parigi che penalizza fortemente l’economia americana a vantaggio di quelle dei grandi inquinatori (Cina e India) e dei Paesi in via di sviluppo. Per Donald Trump, by the way, gli Stati Uniti (secondo «produttore» di CO2 al mondo, da poco superato dalla Cina) sono un Paese clean, persino le miniere di carbone americane sono pulite, ha affermato, e lui si batterà affinché lo rimanga («perché amo e difendo l’ambiente»); per far crescere l’economia del 3-4 per cento c’è tuttavia bisogno di far capo a tutte le energie fossili di cui il Paese dispone. In sintesi: Economy first, se vogliamo avere America first, e il conto per l’ambiente e per il clima devono essere gli altri a pagarlo, con o senza un nuovo accordo.

Paradossalmente, lo stesso giorno, gli azionisti della più grande società di petrolio e gas al mondo, l’americana Exxon Mobil, hanno accettato per la prima volta di valutare misure di contenimento delle emissioni di CO2. Una notizia che simbolizza l’impegno di una crescente parte del mondo economico statunitense nella lotta contro i cambiamenti climatici. Un impegno che si traduce in innovazioni tecnologiche e in posti di lavoro. Trump vuole aiutare chi lavora nelle miniere di carbone, tuttavia i dati del Dipartimento dell’energia americano indicano, ad esempio, che il numero di persone impiegate nel settore dell’energia solare è ormai doppio di quello dei minatori. Ma sono i minatori che votano per Trump.

Sempre più dobbiamo constatare che America first significa America only. Con Trump, gli Stati Uniti prendono commiato dal ruolo di leader mondiale e si richiudono su se stessi. Per l’Accordo di Parigi questo può avere l’effetto di frenare ulteriormente chi non vi ha aderito con sufficiente convinzione, condannando il mondo a un clima fortemente instabile per secoli, con crescenti cataclismi e conseguenti nuove ondate migratorie. 

Inoltre, abbandonando l’Accordo di Parigi Trump rende gli Stati Uniti un partner poco affidabile e meno credibile su più fronti – eppure la diplomazia americana ha bisogno di credibilità per potere difendere i propri interessi nel mondo. Donald Trump è convinto di riuscire a ottenere accordi migliori negoziando bilateralmente con ogni Paese, gettando sulla bilancia il peso della propria superpotenza. È un ritorno all’imperialismo ottocentesco. È un progressivo svuotamento dell’ordine mondiale liberale che gli stessi Stati Uniti hanno costruito dalla seconda metà del Novecento. Un ordine fatto di istituzioni mondiali quali l’ONU, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, la NATO, la World Trade Organization, che si regge su una fitta rete di alleanze (e queste affidabilità e credibilità), nato dalla consapevolezza che gli Stati Uniti possono prosperare solo se riescono a guidare la comunità internazionale verso i propri obiettivi (in primis il libero mercato, che richiede però stabilità politica). Ma gli Stati Uniti non si trovano sulla Luna e un disordine mondiale non può razionalmente essere nel loro interesse.