Eclissi del sacro?

/ 31.10.2016
di Franco Zambelloni

I rilevamenti statistici segnalano la tendenza costante alla diminuzione dei credenti, specie tra le nuove generazioni: in Francia, ad esempio, solo l’8 per cento dei giovani considera importante la religione; ma anche in Italia e nel Ticino si registra un calo costante e progressivo degli aderenti alle fedi tradizionali.

Sono molti i fattori che determinano questo fenomeno, e sono facilmente intuibili. In passato, quasi nessuno dubitava delle verità dettate dal magistero dell’autorità ecclesiastica; ed è ben noto il meccanismo psicologico in base al quale, se una grande maggioranza afferma una cosa, la minoranza, pur dubitandone, di solito si accoda. Perciò è possibile anche un fenomeno di contagio in direzione inversa: più crescono i dissidenti dalla verità conclamata, più il fenomeno tende ad espandersi.

La stessa autorità ecclesiastica ha poi perso gran parte della sua influenza, a partire da quando le rivoluzioni liberali hanno nettamente separato la sfera religiosa da quella politica, togliendo alla Chiesa un potere che aveva detenuto per secoli e secoli. Ma soprattutto, con la diffusione della cultura, si è affermata una razionalità scientifica che rende ovviamente più scettici nei confronti di quanto esula dall’ambito della comprensione razionale. Le statistiche lo confermano: la credenza religiosa diminuisce proporzionalmente alla crescita del livello di istruzione. 

Da un lato, questo processo di secolarizzazione ha portato indubbi vantaggi: la libertà di pensiero, la tolleranza verso qualsiasi fede religiosa, la fine di privilegi e abusi di una casta dominante. La stessa dottrina cristiana si è evoluta nella direzione indicata dal pensiero laico: se un tempo un nome di Dio era Sabaoth, «Signore degli eserciti» (sempre invocato quando si trattava di indire una «guerra santa»), oggi apprendiamo dal pontefice in carica che il nome di Dio è «misericordia» e che vuole solo la pace. Indubbiamente è un progresso. Ma nella storia umana non c’è mai un progresso che non comporti anche delle perdite.

Una fede comune ha costituito sempre, in passato, anche un fattore identitario nel quale si riconosceva una comunità. Oggi che le nostre comunità vanno dissolvendosi nell’anonimato della globalizzazione e nello straripare dell’individualismo, il declino dell’identità religiosa costituisce dunque un fattore in più di disgregazione. 

Poi c’è, in particolare, una domanda che emerge dal sapere scientifico d’oggi e che getta una luce inquietante sul declino delle fedi religiose in Occidente. Non c’è cultura, in ogni epoca e civiltà umana, che non abbia venerato qualche divinità. L’universalità del fenomeno ha indotto molti filosofi e antropologi a chiedersi come conciliare l’atteggiamento religioso con la teoria evoluzionistica, che ormai nessuno più si sogna di negare (salvo qualche frangia di integralisti). A prima vista, infatti, molti precetti della fede religiosa appaiono in netto contrasto con la spinta vitale e con il successo della specie: penitenze, digiuni, astensione sessuale, il sacrificio di sé fino al martirio sono difficilmente spiegabili all’interno di un istinto vitale che vuole la sopravvivenza dell’individuo e della specie.

Come osserva Daniel Dennett, «probabilmente, fra gli esseri umani, quelli morti nel valoroso tentativo di difendere luoghi e testi sacri sono più numerosi di quelli caduti nel tentativo di proteggere grosse riserve di cibo o i loro stessi figli e le loro case». La religione sarebbe dunque un’assurda falla nella strategia biologica? In realtà, ci sono biologi ed etologi, come Danilo Mainardi, che hanno messo in luce il valore adattivo della tendenza a credere: lo spazio di irrazionalità presente nella nostra mente fa da contrappeso a quella razionalità che è fonte di angosce e disillusioni e può così favorire la sopravvivenza della specie umana; non solo: «può aiutarci a vivere, e soprattutto a morire, meglio».

Se davvero è così, la perdita di religiosità nei nostri Paesi costituisce un fattore concomitante con quella decadenza dell’Occidente che ormai ravvisano in molti: il declino della nostra cultura trascina con sé anche il pilastro della sua fede. Questo non significa che la religione sia destinata a scomparire: se davvero la credenza nel sovrannaturale ha un valore adattivo per la specie, è possibile che, col tramonto dell’Occidente, alla nostra fede tradizionale ne subentri un’altra, magari importata da culture meno razionalistiche e più ostinate nell’adesione ai loro valori identitari.