È stata, per quel che ci consta, una primizia nelle necrologie dei quotidiani ticinesi. Stiamo parlando dell’annuncio funebre con cui, il 28 novembre scorso, un gruppo di militanti ticinesi esprimeva la propria commossa partecipazione al lutto per la morte del «compagno Fidel Castro Ruz», augurando un sereno riposo al «Siempre Comandante». Ora, questo messaggio non ha mancato di sorprendere, non più di tanto però. A prima vista, poteva sembrare un fatto nuovo: un nostro movimento politico dichiarava pubblicamente le sue simpatie nei confronti di un personaggio lontano, discusso, un dittatore sia pure in disarmo. Ma, a ben guardare, era un fatto tutt’altro che nuovo.
In realtà, quell’annuncio rivelava sentimenti, opinioni, e comportamenti tipici del nostalgico, un esemplare umano, largamente diffuso negli ambiti più diversi, e non da oggi. Si deve piuttosto parlare di una sorta di meccanismo naturale che, di secolo in secolo, e adesso di decennio in decennio, fa scattare la molla del rimpianto per un passato, da rivedere e recuperare. Confermando un bisogno e un piacere di voltarsi indietro. Attraverso quest’operazione, abilmente sfruttata sul piano commerciale, epoche di fatiche, rinunce e umiliazioni, si ripresentano rivedute e corrette in visioni di società rurali, genuine e romantiche. E quindi da riproporre, come avviene con i mercatini dell’usato, i negozietti di abiti vintage, i ristoranti con cucina della nonna, frequentati, appunto, dai cultori della nostalgia. Ed è, ovviamente, una forma di nostalgia modaiola, simpatica, da svago per il sabato mattina e alla vigilia delle feste.
Le cose, invece, cambiano quando dall’ambito dei consumi, dove la materia prima sono prodotti alimentari o gadget elettronici, si passa a quello politico, dove le scelte concernono idee, programmi elettorali, indirizzi sociali ed economici. Proprio qui l’intervento della nostalgia assume connotati ben più rilevanti e persino sconcertanti. Come, appunto, è successo, nei confronti di Fidel Castro, il cui mito, appannato dagli eventi reali, rimane oggetto di culto per i nostalgici. Quelli di casa nostra che «si stringono intorno al coraggioso popolo di Cuba», quelli italiani, come l’inviato della Rai, Gianni Minà reso famoso, nel 1987, dall’elogiativa intervista al «Lider Maximo», durata 16 ore. Di cui non si è ricreduto. Ha confessato di appartenere ai nostalgici irriducibili.
Del resto, costituiscono una categoria umana perenne che, sul filo della storia, riappare sotto etichette diverse. Ma il comune denominatore rimane il culto di un personaggio, spesso circondato dall’aureola del carisma, legato a un’epoca da rimpiangere. Insomma quel «si stava meglio quando si stava peggio» che, nell’ultimo dopoguerra, fu il motto dei neofascisti, chiamati poi partito dei nostalgici. E, in seguito, fu la volta dei nostalgici del generale Franco in Spagna, per non parlare delle schiere ben più folte dei nostalgici del ’68, rivoluzione ancora da portare a termine, e che fa sempre sognare anche qualche intellettuale di casa nostra. Mentre, oltre Gottardo, si rifanno vivi, di tanto in tanto, gruppetti di neonazisti, nostalgici, figurarsi, di Hitler. Ma persino un dittatore, squallido com’era l’albanese Enver Hoxha, riesce ad animare un seguito di ammiratori nostalgici.
Certo è che, in ogni caso, questo culto si rivolge sempre verso personaggi illusori, capaci di sedurre con lo sguardo, con la parola, con le promesse irrealizzabili: tutti attributi che appartengono alle caratteristiche esteriori e mentali dei dittatori. C’è, insomma, di che consolarsi, come cittadini di una democrazia che non produce politici destinati al rimpianto. Nei loro confronti non c’è da porsi il manzoniano interrogativo «Fu vera gloria?».
A proposito di Fidel, è il caso di schierarsi con Obama: «Sarà la storia a decidere».
Fu vera gloria? L’interrogativo manzoniano si ripropone ogni volta che scompare un grande politico, uno che nel bene o nel male ha segnato le sorti del mondo. Lasciando ai posteri «l’ardua sentenza»: sarà, insomma, la storia a dire l’ultima parola. Avvenne così, il 5 maggio 1821, con la morte di Napoleone Bonaparte ed è successo, il 25 novembre 2016, con la morte di Fidel Castro.