E se rileggessimo Vonnegut?

/ 07.03.2022
di Paolo Di Stefano

«Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là…». Non sono poche le occasioni in cui lo splendido incipit (6+) con cui si apre I fiori blu di Raymond Queneau continua a rivelarsi di grande attualità: e valido anche al tempo della guerra russa in Ucraina. Cambiate la data, aggiornate lo strumento ottico e vi ritroverete nella stessa esatta condizione di perplessità e di incomprensione del duca d’Auge. «Il ventiquattro febbraio duemilaventidue, sul far del giorno, Pinco Pallino accese il televisore per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato…». Quando si dice l’universalità della letteratura.

Forse però, più di Queneau, lo scrittore a cui guardare per considerare un momentino la situazione storica è un autore americano di origine tedesca di cui quest’anno si celebra il centenario: è l’antimilitarista Kurt Vonnegut, cui si devono diversi capolavori, a cominciare da Mattatoio n.5 (niente voto per i fuoriclasse). Si tratta del libro in cui Vonnegut rivive in forma un po’ distopica e un po’ schizoide, attraverso un alter ego che chiama Billy Pilgrim, l’incubo del bombardamento di Dresda del febbraio 1945 in cui morirono 30 mila persone. Vonnegut, che ne fu testimone essendo stato catturato dai tedeschi, tornò a Dresda nel 1967 e un paio d’anni dopo pubblicò il suo libro con grande successo. Per il sopravvissuto Billy, uscito folle dalla guerra dopo aver assistito al massacro, la vita è ormai insensata e indesiderata. Ma soprattutto quel che oggi ci appare sconvolgente è la confusione temporale in cui Pilgrim si trova a barcollare come proiettato in uno scenario fantascientifico: i ricordi gli provengono dal futuro, dunque sa quel che gli accadrà per averlo già vissuto, ma non riesce a far nulla per evitarlo. Vi ricorda qualcosa questo sentimento di paralisi di fronte all’ineluttabilità di una catastrofe? La vertigine di Billy non è anche la nostra?

Scrivo oggi di Vonnegut per consigliare la lettura di Mattatoio n.5, ma anche perché è appena uscito un notevole volume che raccoglie le sue lettere (titolo: Tieniti stretto il cappello. Potremmo arrivare molto lontano, Bompiani). In una lettera del 1968 al Centro Reclute federale, troverete le ragioni per le quali Vonnegut era fiero che suo figlio, senza un granello di codardia, si dichiarasse un obiettore di coscienza: «Per tutta la vita gli ho insegnato a odiare l’idea di uccidere (…). Scrivo libri che esprimono il mio disgusto per le persone che trovano facile e ragionevole uccidere». Secondo Vonnegut, che si definiva «un ateo che ama Cristo», si perse il controllo di ogni questione etica con le montagne di cadaveri prodotte dalla Prima Guerra mondiale. Il resto lo fece il nazismo, ovviamente. E il resto continuano a farlo le guerre in corso.

Durante la luna di miele la sua novella sposa Jane fece leggere a Kurt I fratelli Karamazov, «il più bel romanzo di tutti i tempi»: fu il primo libro che lesse dopo la prigionia.

A proposito di Karamazov e dintorni, l’Università Bicocca di Milano mercoledì scorso avrebbe voluto cancellare un corso dello scrittore Paolo Nori su Dostoevskij «per evitare ogni forma di polemica in questo momento di forte tensione» (1 a queste buone intenzioni). Per fortuna, dopo un’oretta dalla comunicazione e il pandemonio che ne stava derivando, il rettore ha saggiamente ritirato la decisione, considerando più pacatamente che Dostoevskij non è mai stato un sostenitore di Putin. Al ridicolo non c’è mai fine.

In un racconto del 2016, lo scrittore americano Odie Lindsey ricorda che un giorno del 1991, trovandosi soldato diciannovenne in Iraq arruolato per l’operazione Desert Storm, intravide un pacco anonimo di quelli che di solito non promettevano niente di buono con dentro ravioli o carne in scatola confezionati in una chiesa dell’Oregon o dell’Ohio. «La scena era questa: sabbia, una tenda, clima soffocante, il colpo di un’esplosione, un piccolo pacco ancora chiuso e io».

Non c’era dentro niente, scrive Lindsey, salvo quattro libri di Vonnegut, che gli cambiarono la vita. Se rovesciassimo pagine di Vonnegut sui soldati russi in missione a Kiev? Un bel Mattatoio n.5 in caratteri cirillici?