È arrivata la stagione delle vacanze. Ma anche quest’anno chi andrà in ferie, al mare o in montagna, difficilmente troverà la distensione che è propria a questo periodo. Il prossimo futuro è infatti segnato da numerose incertezze. Se ne sono accorti anche i redattori della Segreteria di stato per l’economia (la SECO) che, preparando l’edizione di giugno del loro trimestrale rendiconto sull’andamento della nostra economia, hanno ritenuto opportuno aggiungere, al tradizionale capitolo sulle previsioni macroeonomiche, uno scenario per descrivere quello che potrebbe capitare quest’inverno e nel prossimo anno se tutto dovesse andar male.
L’idea che sta dietro a questo esercizio è che, dopo tutto, dipingere il diavolo sulla parete può servire per prepararci al peggio. Può anche servire per quantificare, in modo affidabile, le conseguenze economiche di una crisi energetica come potrebbe essere quella scatenata dal conflitto ucraino. L’ipotesi negativa sulla quale si basa lo scenario è che la Russia sopprima in maniera durevole le forniture di gas ai paesi europei e che questi non siano in grado di rimpiazzare queste forniture, almeno nell’immediato. Questa decisione avrà naturalmente una serie di ripercussioni negative sull’evoluzione congiunturale delle economie di questi paesi nel 2022 e nel 2023. La conseguenza diretta di questa decisione sarà, a detta dei redattori della SECO, un aumento «brutale» e prolungato nel tempo dei prezzi dell’energia. Siccome la domanda di energia è inelastica (ossia non cambia in modo significativo al variare dei prezzi), l’aumento dei prezzi dell’energia dovrebbe indurre una riduzione importante della domanda per altri beni di consumo. D’altra parte, per effetto delle incertezze che pesano sul futuro dell’economia e dell’aumentato costo del rischio, anche gli investimenti diminuiranno. Il persistere di questa situazione farà infine aumentare la volatilità dei mercati finanziari.
La recessione economica in Europa non è però imminente. Stando agli autori di questo scenario essa non si manifesterà che quando le riserve di gas naturale dei paesi europei non basteranno più per coprire il fabbisogno dell’industria. Sarà allora che la produzione industriale perderà buona parte del suo dinamismo, il che potrebbe indurre una recessione economica nei paesi della zona euro. D’altra parte, la diminuzione dell’offerta di beni manufatturati farà rincarare il prezzo di certi prodotti. Il tasso di inflazione, di conseguenza, potrebbe aumentare creando nuovi problemi di aggiustamento a livello di politiche monetarie. Anche l’economia svizzera potrebbe risentire di questa evoluzione negativa. Se lo scenario negativo, descritto sommariamente qui sopra, dovesse realizzarsi, il tasso di crescita del prodotto interno lordo si ridurrebbe, per il 2022, dal 2,6 al 2,4% e, per il 2023, dal’1,9 allo 0%. Anche il tasso di inflazione dovrebbe salire rispetto alle previsioni fatte nel mese di giugno. Tuttavia, anche in questo scenario negativo l’aumento dei prezzi non supererebbe, né nel 2022, né nel 2023, il 3% il che garantisce all’economia svizzera una situazione eccezionalmente positiva rispetto al resto delle economie europee e di Oltre Atlantico, per le quali si prevedono, almeno per il 2022, tassi di inflazione superiori al 7%.
Le ragioni di questa differenza sono due: da un parte la minore dipendenza del mercato energetico svizzero dal gas naturale e dall’altra la probabile rivalutazione del franco svizzero rispetto alla moneta europea. Come dobbiamo giudicare le valutazioni contenute in questo scenario? Il fatto che i redattori del rendiconto congiunturale trimestrale della SECO abbiano ritenuto necessario formularlo, testimonia che anche i responsabili della nostra politica economica sono preoccupati dall’evoluzione in corso e da quello che la stessa potrebbe riservarci per i prossimi mesi. Tuttavia, quando confrontiamo i risultati delle previsioni contenute in questo scenario con quelli delle previsioni per il 2022 e il 2023 fatte, sempre dalla SECO, nel mese di giugno di quest’anno, non ci sembra che emergano motivi di particolare preoccupazione per l’economia svizzera almeno per quel che riguarda l’andamento di aggregati come il prodotto interno lordo o l’evoluzione dell’inflazione. Attenzione però, i redattori dello scenario avvertono, chiudendo il loro rapporto, che «la soppressione di fattori di produzione essenziali potrebbe avere conseguenze economiche individuali molto più importanti» di quanto non emerga dall’esame a livello aggregato.