E se il futuro fosse freelance?

/ 09.12.2019
di Natascha Fioretti

Arriva il Natale è tempo di bilanci, di retrospettive e di emozioni. L’atmosfera che precede le feste ha in sé qualcosa di magico, le luci della sera, ad esempio, che nel loro caldo riverbero richiamano la presenza e l’amore di chi non c’è più. Ma può essere anche un tempo funesto. Da quando l’economia non gira più a pieno regime e la coperta è diventata più corta per tutti, la fine dell’anno coincide con la ricezione di terribili comunicazioni di fine rapporto o fine collaborazione. Terribili perché lo sono nella sostanza ma sempre di più anche nella forma. L’altro giorno è toccato ad una mia amica. Non se lo aspettava, le è stato detto con una sintetica e fredda mail. Ormai lo sa anche Babbo Natale che le lettere non si usano più. L’email però ci ha fatto dimenticare l’uso e il pregio dei convenevoli, delle forme di cortesia, dell’eleganza nella forma. L’eleganza, anche questa, nei rapporti umani l’abbiamo scordata. Fa parte della nostra grande illusione, che un giorno scoppierà come la bolla immobiliare, quella di crederci sempre connessi. Lo siamo a suon di bit ma a livello umano ci connota una profonda disconnessione. 

Nel tentativo di consolare questa mia amica mi è tornata in mente la battuta di un assicuratore. Nell’illustrarmi i vari cataclismi che avrebbero potuto annuvolare il mio futuro, arrivato alla voce «perdita del lavoro» mi ha guardato e, convinto di fare una battutona, mi ha detto «lei è freelance quindi non può essere licenziata!». Seguita da una grassa risata. Quando dici di essere una giornalista freelance la maggior parte delle persone ti guarda con aria mista di incredulità e pietà e, anche un pizzico di diffidenza, quasi a non voler credere che di questo si possa vivere. Freelance uguale lavoratrice sfortunata. Dissento, io sono una felice giornalista freelance, soprattutto, lo sono per scelta. Ammetto, è faticoso, ma se sei un’anima indipendente, curiosa, flessibile, se hai un metodo di lavoro collaudato, spirito organizzativo, sai girare i contrattempi in tuo favore, puoi farcela. Come dice l’alpinista Matteo Della Bordella «Fai ciò che ami e fallo con coraggio». E, aggiungo, fallo bene, metti la qualità del tuo lavoro sempre al primo posto.

Sta di fatto che i tempi cambiano, le modalità e le dinamiche del lavoro pure. Dati alla mano, un articolo di Forbes di inizio anno, seguendo il trend attuale per cui negli Stati Uniti nel 2018 c’è stato un incremento dei freelance dell’8,1%, prevede che nel 2027 più del 50% della forza del lavoro sarà freelance. Un andamento simile si registra anche nel Regno Unito dove i freelance da 3,3 milioni nel 2001 sono saliti a 4,8 milioni nel 2017. Lo stesso vale per il giornalismo, ce lo dice uno studio, Exploring Freelance Journalism, promosso dal National Council for the Training of Journalists, secondo il quale dal 2000 al 2015 nel Regno Unito il numero dei giornalisti freelance è salito da 15’000 a 25’000 registrando un incremento del 67%. Le cause alla base di questi dati sono il risultato di una combinazione di più fattori: un cambiamento nei comportamenti e nelle dinamiche professionali, nella mentalità e nella cultura lavorativa, un cambiamento delle forze economiche che regolano il mercato.

Per ora vale la regola per cui soltanto chi è assunto è tutelato, gode di sicurezze sociali e compensi equi. Eppure la figura del freelance, nel giornalismo come in altri settori, è una figura importante. Eva Hirschi, in un approfondimento sulla questione in Svizzera, ha raccolto diverse voci interessanti. Tra queste quelle dei direttori del «St. Galler» e del «Bieler Tagblatt» secondo i quali «i freelance sono i nostri occhi e le nostre orecchie là fuori, ci portano informazioni e storie che noi non riusciamo a coprire o di cui neanche siamo al corrente». 

Se le cose stanno così, se la figura del freelance aumenterà nei numeri mentre diminuiranno i posti fissi nelle aziende, allora, gioco forza, le regole del gioco cambieranno per tutti.