È possibile avere il senso dello sport nel DNA ?

/ 28.08.2023
di Giancarlo Dionisio

Se tra i lettori c’è un genetista in grado di fornire una risposta, che si manifesti. Lo ringrazierò di cuore. Da profano direi di sì. Pochi giorni fa la pagina 194 del TXT riferiva del felice ritorno alle gare in Mountain Bike di Filippo Colombo, reduce da una lunga fase di recupero dalla frattura al gomito dovuta alla caduta, il 9 aprile scorso, alla Parigi-Roubaix. Alla 195 scopro che Elia Colombo, grazie al suo 21o posto al Campionato Mondiale di Windsurf, categoria IQFoil, ha conquistato per la Svizzera il diritto di partecipare ai Giochi Olimpici di Parigi del prossimo anno.

Nulla di che, se non fosse che Filippo ed Elia sono fratelli. Filippo, 25 anni, ha già partecipato ai Giochi, tre anni fa a Tokio e ci sono le premesse perché ci possa tornare. Per il 28enne Elia sarebbe il debutto. Tra gli annali dello sport, una situazione simile non si era mai verificata in Ticino.

Sembra quasi che i loro genitori si siano suddivisi impronta genetica, influsso e sostegno: mamma Lorenza per Filippo, papà Andrea per Elia. Lei è stata ciclista, in odore di professionismo. Una passione, quella sportiva e per la bicicletta in particolare, respirata in famiglia. La stessa passione che ha contagiato anche il fratello Rocco Cattaneo, uno dei più forti scalatori svizzeri degli anni Ottanta-Novanta.

Zio Rocco non ha mai abbandonato le due ruote. Lo accompagnano anche quando si reca a Berna alle sedute del Parlamento. La bici, per lui, è un concetto, un terreno sul quale agire: a lui dobbiamo la riuscitissima organizzazione dei Mondiali disputati a Lugano nel 1996, la pionieristica edizione dei Mondiali di MTB del 2003 nella regione del Monte Tamaro, da ultimo l’Europeo dei «Grimpeurs» andato in scena sulle rampe della Tremola quest’anno, a fine luglio.

Dal canto suo, Andrea non ha mai praticato vela a livelli mondiali. Ma in quel mondo gli riconoscono una passione planetaria. Per un ventennio è stato Presidente del Circolo Velico Lago di Lugano. Potrebbe significare poco, se non potessimo aggiungere gli impulsi organizzativi e divulgativi che ha iniettato nel settore. Nuove regate, la presenza esemplare a Lugano dell’equipaggio di Alinghi, in bella mostra, dopo il primo trionfo in Coppa America, e soprattutto decine e decine di giovani avviati verso la pratica di questo sport ecologico. Fra questi, appunto, suo figlio Elia, che verosimilmente porterà le insegne del Club il prossimo anno nella capitale francese.

Il suo 21o rango al Mondiale potrebbe essere un obiettivo raggiunto, in perfetto stile De Coubertin. In realtà, il velista luganese è già salito sul gradino più alto del podio alla Coppa del Mondo, lo scorso mese di giugno a Torbole, sul lago di Garda. Filippo è più conosciuto al pubblico degli sportivi. Si è già imposto in prove di coppa del Mondo e ha già assaporato il podio sia agli Europei, sia ai Mondiali. Quindi il Barone che nel 1896 ideò i Giochi Olimpici moderni è avvertito: per i fratelli Colombo, a Parigi, non si tratterà solo di partecipare.

Per tornare all’interrogativo iniziale, lascio evidentemente agli scienziati il compito di fornire una risposta adeguata allo stato attuale della ricerca. Mi sento tuttavia di porre l’accento sul concetto di «modello». Filippo ed Elia l’hanno avuto in casa. Da loro hanno assimilato valori etici e comportamentali che li stanno facendo veleggiare lontano dalle insidie di una società sempre più aspra e ostile nei confronti dei giovani. Sono altresì convinto che Lorenza e Andrea non abbiano vestito i panni del guru e che si siano limitati semplicemente a fornire degli esempi.

L’arte dello scaricabarile è in costante espansione. Se fosse una disciplina sportiva avrebbe già i crismi per essere considerata olimpica. I giovani sono degli sbandati, o sono allo sbando? Per molti non fa differenza. Basta attribuirne le responsabilità ad altri. La scuola accusa la famiglia. La famiglia se la prende con gli insegnanti. Stessa dinamica tra società sportive, allenatori, giovani praticanti e relativi genitori. Nessuno vuole assumersi la responsabilità. Eppure basterebbe fungere da esempio, senza troppe prediche e senza moralismi.

Ci sono contesti in cui magari le condizioni socioeconomiche sono meno penalizzanti. Altri in cui, la famiglia è confrontata addirittura con problemi di sopravvivenza. Ma basterebbero pochi minuti al giorno. Un gioco insieme. Un giro in bici invece che in auto. Una bevanda sana invece di una ipercalorica. In una parola: l’esempio.