Da qualche anno le rassegne culturali, i festival e i saloni del libro si danno un tema, cambiandolo a ogni edizione, al fine di organizzare e mettere un po’ d’ordine nelle centinaia di eventi previsti, lasciando poi liberi i partecipanti di modularlo come meglio credono o di infischiarsene. Non fa eccezione il festival Scrittori in città, la cui sedicesima edizione si svolge nella città di Cuneo dal 16 al 21 novembre. Dopo «Colori» dell’edizione 2014 e «Dispari» dell’edizione 2015 è ora la volta di «Ricreazione». Stando alla presentazione ufficiale del festival, «Ricreazione è novità, è rinnovamento, è il senso della fantasia, della creatività, della creazione in genere». Tutto giusto ma per molti di noi il primo impatto con questa parola apre scatole su scatole di ricordi infantili, riferiti agli anni dell’asilo e della scuola elementare, dal momento che nelle scuole medie inferiori e superiori, la sosta cambiava nome, diventando «l’intervallo» e infine sul lavoro si sarebbe trasformata in «pausa mensa».
Dal momento che da allora sono trascorsi molti decenni non mi vergogno di ammetterlo: io pativo la «ricreazione», non vedevo l’ora che una maestra, affacciandosi sulla porta che immetteva in giardino, ci richiamasse in classe; ero sempre il primo a rientrare. Le ragioni di codesta mia ripugnanza non sono nobili, purtroppo. Avrei voluto eccellere in almeno uno dei tanti giochi praticati all’aperto per brillare agli occhi delle mie compagne, mentre ero impacciato, insicuro e mediocre in tutto. Inoltre temevo che qualche compagno mi chiedesse di prendere parte al privatissimo festino di merende allestite da mamma e nonna in una nobile gara di eccellenza. Per me «ricreazione» è rimasta quella cosa lì, qualcosa di buono divorato il più in fretta possibile stando acquattato in un angolo nascosto del cortile. Bisogna riconoscere però che quel modello di divisione del tempo fra l’impegno scolastico e lo svago, inculcatoci da bambini, ci ha preparati, una volta diventati adulti ed entrati nel mondo del lavoro, ad affrontare la netta dicotomia fra lavoro e gioco.
Ora non è più così, la ricreazione ha invaso tutti gli interstizi del nostro tempo, grazie alla diffusione dei mezzi informatici. Fateci caso quando vi recate in un ufficio pubblico e vi accostate a uno sportello; nove volte su dieci l’impiegato, prima di rispondere alla vostra richiesta, blocca il solitario che stava facendo sullo schermo. Tutti coloro che hanno uno schermo acceso davanti, impiegati, medici, notai, addetti alla sorveglianza degli ingressi, sono inesorabilmente attratti dal gioco. Io stesso, mentre sto scrivendo questo testo sulla tastiera del computer, di tanto in tanto, riduco la pagina dopo averla salvata e richiamo un gioco di carte che ahimè non sono riuscito ad estirpare dalla memoria e che mi attira nel suo gorgo. Mi è stato offerto di tenere una mattinata di lezioni per uno di quei corsi di aggiornamento che i giornalisti professionisti sono obbligati a seguire per venti ore all’anno.
Ebbene tutti, ma proprio tutti, mentre io facevo dono della mia sapienza, erano intenti a giocare su un portatile. Anche gli spettatori dei concerti di musica classica giocano, quando sono eseguiti brani di autori contemporanei. Infine a scuola: l’insegnante spiega e gli studenti giocano sulla tavoletta posata sul banco. C’è un contrappasso: rotto il muro che separava tempo del lavoro e tempo del gioco, tutto si è rimescolato e, pur giocando, non si finisce mai di lavorare, inseguiti dai messaggi e dalle mail grazie al fatto che possiamo portare ovunque con noi quelli che un tempo erano la scrivania o il banco di lavoro. Tornando ancora al programma di Scrittori in città, dobbiamo riconoscere che gli organizzatori puntano in alto dividendo in due parti con un trattino la parola chiave e facendola diventare «Ri-creazione», ovvero impossessarsi di forme di vita, di conoscenza e d’arte e provare a ricrearle ex novo, dando origine a una nuova e più ricca stagione. Il Creatore è uno solo e noi possiamo solo, bene che vada, essere dei Ricreatori.
Troviamo questo concetto espresso nel romanzo del finlandese Arto Paasilinna, La prima moglie e altre cianfrusaglie, del 1994 ma pubblicato in italiano da Iperborea solo in questi giorni. Il protagonista, Volomari Volotinen, è un assicuratore e nel 1968 ottiene il posto fisso. Il suo direttore lo festeggia con un discorso: «Dio lassù in cielo è onnipotente e noi possiamo fare affidamento su di lui. Ma, come ben sappiamo, non aiuta tutti, non né ha né il tempo né la voglia. È risaputo». Il direttore fa una pausa per dare più peso al suo messaggio per il giovane ispettore. «Qui sulla terra sono gli assicuratori che sostituiscono Dio. Se lui non aiuta, lo fa la compagnia di mutue assicurazioni Joukahainen. Noi siamo in un certo qual modo i suoi supplenti, o quantomeno i suoi rappresentanti quaggiù».
Ben detto. Si discute molto del ruolo degli intellettuali in questi tempi confusi, gonfi di rabbia repressa, dove nessuno è disposto a concedere deleghe a maestri di vita e di pensiero. È giunta l’ora dei Ricreatori, di coloro capaci di farsi carico dell’esistente e ricrearlo, che sia un’opera d’arte, una teoria filosofica, un canto popolare, un metodo d’indagine, una tradizione popolare, un festival di letteratura.