È arrivata l’ora degli scenari

/ 25.05.2020
di Angelo Rossi

La pandemia da Coronavirus in corso provocherà la recessione economica più ampia che si sia vista dalla fine della seconda guerra mondiale. Questo non è ancora un dato di fatto accertato, ma, purtroppo, una previsione molto affidabile. Tenendo conto di questo, gli interrogativi ai quali gli esperti attualmente cercano di rispondere sono due. In primo luogo ci si chiede come la recessione in corso evolverà nei prossimi mesi e, in secondo luogo, si desidererebbe sapere se saranno necessarie ulteriori misure di stimolo da parte dello Stato per far ripartire l’economia.

Nell’attesa di ottenere un vaccino per combattere il virus è evidente che il giudizio sulla necessità di un nuovo programma di misure, come pure il suo possibile contenuto, dipenderanno dall’andamento della congiuntura nel secondo semestre di quest’anno e nel primo del 2021. Ce lo ha spiegato di recente, in un interessante articolo apparso sulla NZZ, Aymo Brunetti, professore all’università di Berna, ed esperto prossimo a quella che Nenni definiva la «stanza dei bottoni», ossia il luogo nel quale vengono prese le decisioni politiche importanti, a livello federale. In quell’articolo Brunetti affermava che la recessione in corso potrebbe dar luogo a tre possibili scenari. Il primo scenario è quello sul quale molti contano, ossia quello della ripresa abbastanza rapida delle attività economiche. Se il numero delle aziende che dovranno chiudere restasse minimo, la produzione potrebbe riprendere, a pieno ritmo, già nel secondo semestre del 2020. Anche i consumi ricomincerebbero ad aumentare inducendo quindi, a loro volta, una ripresa degli investimenti. Se questo circolo virtuoso dovesse manifestarsi anche nei paesi nei quali la Svizzera esporta, la domanda di esportazioni risalirebbe e la recessione sarebbe presto dimenticata. Dovesse realizzarsi questo scenario, non ci sarebbe bisogno di nessun programma di sostegno particolare oltre alle misure che già sono state prese dalla Confederazione e dai Cantoni.

Stando a Brunetti vi è però purtroppo anche la possibilità che il futuro sia più nero di quello che ci dipingono le nostre aspettative del momento. Sarebbe questo sicuramente il caso se, nelle prossime settimane, dovesse manifestarsi una seconda ondata di contagi obbligando le autorità a decretare un nuovo lock-down. In questo caso, ovviamente, la produzione non riprenderebbe ancora per mesi e questa stasi si rifletterebbe in modo negativo anche su consumi, investimenti e esportazioni. Nella variante peggiore una recessione di questa portata potrebbe inoltre determinare una tendenza alla deflazione con riduzione dei prezzi ma anche, come fu il caso nella crisi degli anni Trenta dello scorso secolo, dei salari. Molte aziende dovrebbero dichiarare il fallimento e questo, ovviamente, inciderebbe in modo negativo anche sull’evoluzione delle banche. La recessione della produzione e della domanda globale sarebbe così seguita, quasi sicuramente, da una crisi finanziaria. In questo caso un nuovo intervento di sostegno dello Stato diventerebbe necessario: oltre alle misure già in corso, occorrerebbe pensare a un programma di rilancio della domanda globale. Brunetti, da buon neo-liberale, pensa che la strada da seguire sarebbe quella di una riduzione delle imposte piuttosto che quella di un aumento della spesa pubblica.

Ma veniamo alla terza alternativa. Si tratta di quella che, di solito, si manifesta dopo lunghe crisi dovute a diminuzioni della produzione. In molti casi le stesse sono seguite da una situazione di iperinflazione. Stando a Brunetti, ma anche ad altri esperti della nostra economia, questo scenario è però il meno probabile. È possibile che, nei prossimi mesi, i prezzi di molti beni di consumo primario salgano, ma, a livello di indice generale dei prezzi al consumo, i loro aumenti saranno compensati dai prezzi bassi della benzina e da possibili riduzioni dei canoni di affitto. Tuttavia, avverte Brunetti, su questo terzo scenario pesano due grosse incognite. La prima è data da quello che lui definisce «l’oceano di liquidità creato dalle banche centrali» che di fatto potrebbe provocare una marea inflazionistica. La seconda è rappresentata dalla spinta che la pandemia potrebbe dare alla marcia in avanti del protezionismo. Se la stessa dovesse portare a proteggere una quota crescente della produzione nazionale non potremmo scampare all’inflazione.