Lugano, autosilo. Una famigliola italiana chiede un’informazione, vorrebbe visitare il centro storico. Esitazione, dubbio. Lugano ha un centro storico? Vale a dire un nucleo originario, con qualche resto romano o medievale, magari un segmento di cinta muraria sbocconcellato dal tempo e dall’incuria e poi acciottolati, portici, vicoli, piazzette, facciate scrostate? La domanda intriga e obbliga a riflettere sull’impianto urbanistico della città, a come si è sviluppato negli ultimi due secoli. Vengono in mente certe pagine di Mario Agliati o l’accurata ricostruzione, in un volume a più voci curato dal figlio Carlo, delle vicende che portarono, tra le due guerre, allo sventramento del quartiere Sassello.
Sulle prime potremmo dire che l’agglomerato sul Ceresio non ami voltarsi indietro, contemplare il suo passato. Nel secondo dopoguerra ha messo in atto un’operazione di chirurgia estetica che prosegue tuttora. Tutte le costruzioni signorili in stile neoclassico sono state rinnovate e riconvertite alle esigenze del funzionalismo. Per non dare l’impressione di sprezzare la modernità galoppante, ha messo mano alla cazzuola un po’ ovunque, senza lesinare sul cemento (v. Palacongressi). D’altronde proprio questo pretendeva la piazza finanziaria in vertiginosa espansione: l’occupazione degli spazi più pregiati e più rappresentativi. Piano piano gli abitanti del centro hanno dovuto far fagotto e cedere le loro dimore ai negozi di lusso, agli uffici e agli sportelli bancari. Destinazione: le periferie lungo il Cassarate e, per i più abbienti, le colline circostanti. È così sorta la Lugano dei nostri tempi: tirata a lucido, ordinata e azzimata ma, come certi salotti borghesi ossessivamente spolverati, priva di vita e di profondità storica.
Può darsi che esageriamo. Lungo la linea curva del golfo qualche testimonianza del glorioso passato è rimasta: Santa Maria degli Angeli con gli affreschi di Bernardino Luini (Rinascimento) e Villa Ciani con il suo parco (Risorgimento). Ma occorre camminare lentamente e scrutare ogni anfratto per risalire a quelle sopravvivenze, ora assediate dai palazzi rimessi a nuovo. Ci soccorrono, in queste nostre estemporanee osservazioni, due pareri eccellenti. Il primo lo traiamo da uno dei più suggestivi libri pubblicati dall’editore Dadò nei primi anni Settanta: Occhi sul Ticino. Testo di Piero Bianconi e fotografie di Alberto Flammer. Diamo dunque la parola a Bianconi (scrittore, traduttore, storico dell’arte): «Siamo poveri di senso della storia, della tradizione, che vuole si conservino testimonianze del passato, carte d’archivio e vecchi edifici come il ritratto dei genitori…». Il secondo giudizio è dell’architetto Mario Botta, e lo estraiamo da un bel volumetto pubblicato da Electa qualche mese fa, Il gesto sacro, curato da Beatrice Basile e Sergio Massironi: «credo che il luogo dove si è nati e cresciuti rivesta un ruolo importante in particolare oggi, dove la società globalizzata rende possibili rapporti immediati ma inevitabilmente superficiali. Il legame con la terra-madre non si riduce a un semplice riferimento geografico ma implica la connessione con un’entità più complessa che mi piace indicare come “territorio della memoria”. Esso rappresenta il palinsesto della storia della nostra civiltà, la complessità delle stratificazioni storiche leggibili nelle nostre città, i segni che, come suggeriva Louis Kahn, ci permettono di interpretare “il passato come un amico”».
Ebbene, questo territorio della memoria negli ultimi decenni si è via via arricciato come una foglia morta fino a naufragare nel mare dei laterizi. In molte zone del nostro cantone resistono solo le chiese, i campanili, le cappellette, gli oratori e i cimiteri, un’edilizia sacra incastonata, quasi rannicchiata, tra condomini e grandi magazzini. Tutto il resto è modernità o, semplicemente, regni dell’asfalto, corridoi di transito, svincoli e parcheggi.
Torniamo dunque alla richiesta della nostra famiglia italiana, giunta a Lugano alla ricerca del centro storico. Interrogati, superiamo l’imbarazzo di cui sopra indicando semplicemente la via per raggiungere il «centro città». Per la storia bisognerà aspettare ancora qualche secolo.
Dove si va per il centro storico?
/ 21.12.2020
di Orazio Martinetti
di Orazio Martinetti