Domenica: tutti a tavola, comunque

/ 08.05.2017
di Luciana Caglio

A prima vista sembra destinato a scomparire un altro classico del repertorio abitudini familiari. Stiamo parlando, appunto, del pranzo dei giorni festivi, fino a un paio di decenni fa, un rito intoccabile, in cui piacere e dovere avevano, ognuno, la propria parte. Quella tavola, imbandita con cibi di lunga cottura e lunga digestione, era stata, già allora, un motivo di scontro generazionale. Insomma, delizia o croce, a seconda dell’età: un lento godimento apprezzato dagli anziani e, per i giovani, indifferenti ai valori gastronomici, un tempo sprecato, sottratto a ben altri svaghi e occupazioni. Che però, attraverso le innumerevoli seduzioni di un nuovo consumismo, hanno avuto la meglio, accelerando una sostituzione di gusti e usi, di cui il pranzo domenicale rappresenta la prima vittima, addirittura il simbolo di un cambiamento forse irreversibile. Ancora da decifrare in tutti i suoi effetti, visibili o nascosti, reali o illusori.

Certo la nuova immagine di giornate festive dove, dalla tavola e dal divano di casa, ci si è trasferiti nelle palestre, nelle piscine, sulle piste ciclabili, sui sentieri di montagna, sembra confermare il pieno successo di una buona causa. Alla pigrizia, alla golosità, all’isolamento, si sono, via via, preferiti l’attività fisica, l’alimentazione ipocalorica, il contatto con la natura, il bisogno di condividere con gli altri un’esperienza cosiddetta d’aggregazione. Di fronte a questo quadro esemplare, sul piano dei comportamenti materiali e dei principi etici, può sembrare inopportuno, persino offensivo, affacciare, sia pure scherzosamente, qualche dubbio. Tuttavia, le cronache di quelli che, oggi, ambiziosamente si chiamano eventi, e cioè gite di associazioni varie, gare di marcia e di corse a piedi, per adulti e bambini, ascese e discese su percorsi d’ogni grado di difficoltà, stanno rivelando le contraddizioni, forse i rischi, inevitabili quando una proposta ideale si traduce in realtà quotidiana.

Qui, però, si tocca un tema delicato, ma concreto. In pratica tutte queste manifestazioni, che fanno capo a motivazioni salutistiche, a un’autodisciplina alimentare, all’utilità della fatica, alla necessità di mettersi in gioco, prevedono, ovviamente, una sosta di ristoro. Durante la quale, stando appunto alle immagini televisive e alle stesse dichiarazioni dei partecipanti, le buone intenzioni vengono apertamente smentite. Si tratta, piuttosto, di vere e proprie abbuffate con cibi che, saranno genuini, ma in quanto a calorie non scherzano: salumi, formaggi dell’alpe, risotti e persino un pezzo forte della tradizione d’antan: la «pulenta cunscia», esaltata da un podista, sotto l’ombrello.

Tutto ciò al di là di scontate ironie e del pericolo di passare per un bastian contrario snob, per dire che, sul piano gastronomico, gli spuntini dei podisti e ciclisti della domenica non hanno nulla da invidiare, in quanto a sapori e spessori, ai pranzi domenicali di vecchia memoria. E se, allora, erano imposti dalla disciplina familiare, adesso dipendono da influssi di tipo sociale e commerciale, che sono nell’aria. Cioè dai condizionamenti della moda che guida sempre le scelte limitando lo spazio della nostra libertà. Ma la contraddizione più macroscopica, in questo discorso, concerne la famosa, giustamente difesa, genuinità dei cibi, in particolare di quelli esibiti dalle bancarelle che, ormai, invadono regolarmente le strade delle città. A Lugano, si sono appena concluse le giornate dello «Street Food», mentre a Milano è in arrivo la settimana «Food City». Occasioni promosse anche con intenti educativi: imparare a nutrirsi meglio, attribuendo, possibilmente, un significato anche morale e politico ai cibi, dando la preferenza ai prodotti locali, che evitano gli effetti negativi dei lunghi trasporti, ma, in pari tempo, sostenendo l’agricoltura dei paesi in via di sviluppo: qui, sta la trappola di un inganno. Serve, insomma, una netta distinzione. La bancarella non è sinonimo di cibo di casa nostra. Comunque, qui ci si addentra in un argomento di grande, anzi eccessiva attualità. Mai, come oggi, si era tanto parlato di cucina, gastronomia, enologia, affidandosi a figure addirittura carismatiche, i grandi chef, che hanno soppiantato gli stilisti. Intanto, continuano ad affacciarsi nuove tendenze: dopo vegetariani e vegani, è la volta dei cuochi che puntano sulla cucina a base d’insetti. Per il momento, i consumatori ticinesi esitano.