L’ultima volta, seguendo il pensiero del filosofo David Precht, ci siamo lasciati dicendo che se non ci sarà un’inversione di tendenza, se non ci ravvederemo per tempo, l’uomo del 2040 sarà un senzatetto digitale, un uomo senza qualità fatto di bits e di bytes in mano alla tecnologia e ai finti giganti buoni della Silicon Valley che carpiscono i nostri dati.
Molti decenni fa Oscar Wilde, molto prima di Erich Fromm, scrisse che l’errore umano risiede nel pensare che la cosa più importante sia avere, senza sapere che ciò che davvero conta è essere. In piena rivoluzione industriale disse anche «ora le macchine sostituiranno l’uomo. Create le giuste circostanze lo serviranno». Secoli dopo non siamo andati poi così lontano e abbiamo nuovamente bisogno di qualcuno che nel frastuono digitale e tecnologico ci rammenti cosa davvero conti per vivere una vita umana. Sembra facile ma è difficile in una società che ci vede ancora come degli uomini nati per il commercio e per lo scambio che godono di più o meno credito in base alla loro capacità produttiva e dunque il loro successo.
Nella scala dei valori mettiamo il rendimento sul lavoro al primo posto. Chi rende di più, riceve di più. Ma il concetto di rendimento è assai nebuloso. Pensare che un assicuratore miliardario per aver venduto polizze dubbie renda di più di una badante è una tesi ardita. E cosa faremo quando migliaia di posti di lavoro scompariranno perché le macchine sostituiranno molte delle professioni di oggi? La società fondata sul rendimento cadrà su se stessa come un castello di carta perché è tutta una finzione. Dov’è finito Il diritto alla pigrizia di cui parlava Paul Lafargue nel 1883? Rivoluzionario francese di origini cubane e di ispirazione comunista, Lafargue sosteneva che il lavoro è la causa della degenerazione intellettuale tipica delle società capitalistiche e generatrice di miserie individuali e sociali.
In buona sostanza, Precht ci dice che la grande rivoluzione tecnologica nella quale siamo immersi comporta un profondo ripensamento dell’essere umano in quanto tale e del suo ruolo, del suo valore nella società. Secondo un recente studio internazionale dal titolo «2050 Il futuro del lavoro» promosso dal Think Thank internazionale Millenium Project, molto presto tutti i mestieri sostituibili dalla tecnica scompariranno mentre fioriranno quei lavori che richiedono empatia, cura, attenzione, risoluzione di problemi, coaching. Studio e formazione saranno indispensabili per sopravvivere alla tempesta del nuovo mondo del lavoro, avranno successo i creativi, gli empatici e chi sviluppa capacità di adattamento. Ci sarà una grossa ondata di licenziamenti e ci scivolerà via la terra sotto i piedi. Qual è la via di uscita? Secondo David Precht garantire un reddito di cittadinanza che permetta agli individui di soddisfare i loro bisogni materiali primari e li renda liberi dal giogo del rendimento e del lavoro retribuito. Le risorse deriverebbero da quelle persone, aziende, banche, società e istituzioni che possiedono più di quel che possono spendere.
Nella società utopica del filosofo tedesco l’uomo è un individuo libero e un cittadino consapevole intento a modellare e a trasformare la cultura perché possa garantirgli la sopravvivenza e la felicità in un mondo determinato dalla tecnica. E qui Precht cita la cultura animi di Cicerone e ci ricorda l’importanza di riconoscere il valore di ciò che ci circonda, l’importanza di guardare con più attenzione, di darsi tempo, di lasciare che le cose accadono senza forzarle.
In barba alla cultura digitale del tutto e subito rimette al centro il valore di fare qualcosa per il piacere di farlo e non perché abbia uno scopo o sia funzionale a qualcosa. Di tutto questo l’utopista deve avere riguardo avendo cura in particolare della motivazione intrinseca e non dell’interesse personale nell’agire. Così deve essere vista la tecnologia digitale: un mezzo d’aiuto per un futuro migliore, non lo scopo dello sviluppo umano.