Distanze sociali

/ 04.05.2020
di Cesare Poppi

Il vostro Altropologo di riferimento si era ripromesso fin dall’inizio del lockdown il 9 marzo di non proferir verbo sulle questioni relative al CV-19 e gli amplissimi dintorni – annessi e connessi in espansione a velocità galattiche. Lo confortava la presa di posizione di un noto filosofo, peraltro noto per la loquacità con la quale è disponibile a pronunciarsi sullo scibile universale. All’intervistatore che qualche settimana fa gli chiese di commentare le prese di posizione sul tema di un suo altrettanto famoso collega (opinioni perlomeno dubbie come vedremo a breve), l’ex Primo Cittadino di Venezia rispose senza mezzi termini che il CV-19 era una questione talmente seria da escludere la possibilità di filosofarci sopra – e che per favore il giornalista non insistesse perché sennò al filosofo sarebbero girate le scatole. Grazie e arrivederci. Più chiaro di così. Bene, bravo.

Sono bastate un paio di settimane, trascorse in totale isolamento nel mezzo di una valle oscura, unico contatto la Postina che quatta quatta deposita la posta a debita distanza per poi ritirarsi (proprio come facevano gli esploratori con pentole e paccottiglia per indurre i selvaggi al contatto), a far crollare la mia determinazione a tacere. Alla vigilia della Fase Due che vedrà in tutta Europa timidazzardate, avareccessive aperture verso il ritorno alla «normalità», la nuova espressione che è entrata nel vocabolario quotidiano è «distanza sociale». Dal momento che tutti sappiamo cosa sia – nel senso ovvero che nessuno sa poi cosa sia di preciso perché come tutte le minacce e le catastrofi impellenti tale non sarebbe se si sapesse cos’è – non mi darò pena a definirla. Mi limiterò a commentare cosa se ne dice e provare ad inferirne il perché.

Fin dall’entrata a gamba tesa dell’Autorità Politica che col supporto di quella medica ci ha costretto in casa si sono levate voci di sdegno per quello che è stato qualificato come un attacco senza precedenti alle libertà fondamentali che farebbero da tetragono spartiacque fra la Civiltà e la Barbarie, la Democrazia e la Dittatura, l’Illuminismo e l’Oscurantismo, la Schiavitù e la Libertà e chi più ne ha più ne metta. Responsabile di tutto questo il Potere – «Loro» – «Quelli che»: coloro che hanno colto l’occasione per impadronirsi dei nostri «corpi biologici» imponendo una sorta di habeas corpus in retromarcia che segna la fine dell’epoca liberal dell’umanità. Capofila e portavoce filosofico di tali posizioni è Giorgio Agamben, noto fra i Confederati per aver insegnato Filosofia all’USI di Mendrisio, le posizioni negazioniste del quale sono facilmente consultabili nel web. Mobilitato il concetto di biopolitica di Foucault (e in parte dell’Ivan Illich della «nemesi medica») si sostiene in sostanza che l’«epidemia» sia un’invenzione per l’occupazione finale del Lebensraum individuale (uso il termine deliberatamente) da parte del Potere. È poi toccato agli epigoni rendere operativa la posizione teorica elaborando sul complottismo delle case farmaceutiche, dei servizi segreti di mezzo mondo, di Quelli della tecnologia G5, del Trono di Spade, di Soros e Bill Gates e via discorrendo. Fatevi un giro nel web entro i duecento metri da casa (anzi, si può fare tutto in casa): ce n’è per tutti i gusti – e disgusti. Ultimo vulnus l’attacco al fondamento stesso della socialità. L’imposizione della «Distanza Sociale» ucciderà il bastione estremo che distingue Sapiens dalle bestie in quanto animale sociale organizzato.

A questo punto l’Altropologo deve farsi sentire. Ma come?! Non eravamo fin dal 1950 quella Folla Solitaria che Steven Runciman indicava come cifra della socialità in epoca moderna? Non eravamo fino all’altro giorno quelli che in metropolitana fitti come sardine sentivano il proprio prossimo lontano chilometri? Non eravamo quelli che nel condominio non salutavano nessuno e che soffrivano di hikikomori (?) – ormai epidemia globale? Cosa c’entrano mai il CD-19 e gli sforzi di coloro che hanno l’ingrato compito di fare scelte certo impopolari con tutti i rischi e gli sbagli che comportano? E poi, al contrario e altropologicamente parlando, è tutto un fiorire di nuove forme di socializzazione: si visitano i vicini, la gente per strada e nei negozi ride e saluta con una cordialità quasi sospetta, giungono telefonate da amanti perdute ed amici dimenticati (magari per accertarsi se si è morti, ma è socialità anche quella, no?). E dove mettere le migliaia di videoclip autoprodotte sul CV-19 rimbalzate sui cellulari di tutto il globo? Basta: questa sera provo a ridurre la distanza sociale col lupo che si sta riprendendo i suoi spazi. Che Francesco (quello già santo) mi dia una mano.