Dissing

/ 21.08.2023
di Simona Ravizza

Il dissing è una Parola dei figli che, più che usarla, gli Gen Z vedono tradotta in musica ed è l’arte di insultare pubblicamente denigrando i rivali. In modo cattivo, spesso spietato. Cantando. Il verbo inglese da cui deriva il sostantivo è to diss che vuol dire mancare di rispetto. A sua volta to diss è un’abbreviazione di (to) disrespect registrato dai dizionari anglosassoni con il significato di criticare. In italiano il verbo diventa dissare. Diffusosi inizialmente negli Stati Uniti, dov’era in uso soprattutto fra le comunità afroamericane, il dissing è quel che fanno i rapper e i trapper quando insultano causticamente qualcuno o qualcosa attraverso il testo di una canzone. Anche se non siete esperti di musica da giovani, è probabile che abbiate sentito parlare negli scorsi mesi del singolo della cantante colombiana Shakira. Magari il titolo Bzrp Music Sessions Vol. 53 vi dice poco, ma il contenuto della canzone è rimbalzato ovunque: «Yo valgo por dos de 22 / Cambiaste un Ferrari por un Twingo / Cambiaste un Rolex por un Casio (Valgo come due ventiduenni, hai barattato una Ferrari con una Twingo, un Rolex per un Casio)». Nelle sue prime ventiquattro ore il video musicale viene visto oltre 63 milioni di volte, stabilendo il record per il debutto nella storia di YouTube per una canzone latino-americana. Ebbene, il brano rappresenta, citazione da Wikipedia, un dissing nei confronti del calciatore spagnolo Gerard Piqué, ex partner di Shakira dal quale si è separata nel giugno 2022 a seguito di un tradimento dell’ex difensore del Barcellona con la giovanissima modella spagnola Clara Chia Martì.

Il rapper milanese Guè in Prefissi del gennaio 2023 canta: «Che faccia da babbo c’hai senza il passamontagna, quattro pugni al sacco, ma, fra’, non sei Adesanya. Hai noleggiato il mezzo per fare il giro del corso, non mi prendi mai come se stessi correndo sul posto. Foto in guardia con il pugno, non siete abbastanza forti, quando avrai pagato i debiti, sarai già in rigor mortis». L’ipotesi è che ce l’abbia con un altro rapper ascoltato dai nostri figli, il romano Tony Effe che nella canzone Doc 3 in cui collabora con il collega VillaBanks risponde: «Come c…o eri vestito nel tuo video? Con Lacoste e durag (foulard annodato in testa, ndr), la tua immagine fa schifo». Nessuno dei due nomina l’altro ma i riferimenti sono precisi: Tony indossa spesso il passamontagna e ha una passione per la boxe e le auto sportive, e Guè nel video di Cookies n’ Cream dell’album Madreperla appare in polo Lacoste blu e un durag sulla testa.

Non è una nuova moda, piuttosto una moda che non passa mai. Per dire nel 2015 Fabri Fibra nel brano Il Rap nel mio Paese dell’album Squallor attacca Fedez: «Odio i rapper banali chi li produce e chi li segue / 10 in comunicazione non uso mai l’inglese / ora faccio un’eccezione: fuck Fedez». Le parole sono inequivocabili: «Vende il disco chi è in tele / sotto stress l’ho capito a mie spese / nessuno esiste se le telecamere non sono accese / Il rap nel mio paese un po’ qua un po’ la un po’ rock un po’ dance un po’ facce ballà / un po’ club un po’ fashion le modelle tra i flash…». E Fedez viene attaccato anche da Marracash e Gué nel brano Purdi dell’album Santeria (2016): «La tua pagina è il museo del tuo ego / Con la musica a margine / Quanto rido con i post che fai / Strappalacrime, strappa-like / Tra un link al tubo e uno a Spotify / E un petto nudo alla Sporty Spice». E gli esempi possono continuare. Da qui all’uso nello slang soprattutto giovanile il passo è breve.

La linguista Barbara Patella scrive per l’Accademia della Crusca: «Scavalcate le rime della musica rap e trap, dissare ha allargato il proprio significato ed esteso i propri ambiti d’uso fino a diventare sinonimo di insultare, beffare, e a essere perciò utilizzato nel senso più generico di denigrare e screditare qualcosa o qualcuno (non solo esclusivamente attraverso il testo di una canzone), con la tendenza a riferirsi, il più delle volte, a offese, diffamazioni o dispute avvenute in contesti pubblici e di ampia visibilità (come dichiarazioni ai media, post o video sui social network e occasioni simili)». Un tempo avremmo detto lavare i panni sporchi in pubblico, oggi facciamo dissing.