Disconnettersi è un privilegio?

/ 17.07.2023
di Claudio Visentin

L’etimologia di vacanza promette un piacevole vuoto, aperto a nuove scelte, o anche semplicemente al riposo. E in effetti, secondo una ricerca di Booking, il popolare sito di prenotazioni alberghiere in rete, quest’estate quasi la metà dei viaggiatori sogna di curare mente, corpo e anima, per esempio con un ritiro di meditazione (un sorprendente 44%) o con una più raffinata ricerca del piacere (36%). Da tempo, del resto, i sociologi del turismo, a cominciare da John Urry, hanno spiegato come la vacanza sia uno spazio di sperimentazione di una vita diversa e come alcuni di questi nuovi comportamenti entrino poi a far parte stabilmente della nostra vita quotidiana.

Naturalmente da quando un bel pezzo della nostra esistenza si svolge in rete, o meglio onlife (un neologismo scaturito dalla combinazione di online + life), da quando una parte determinante del nostro lavoro, delle nostre relazioni e della nostra identità è digitale, per creare questo vuoto benefico bisognerebbe prima di tutto spegnere il computer e lo smartphone: niente telefonate, messaggi, mail. Un’esigenza avvertita con maggior forza dopo la lunga pandemia, quando lo schermo del computer è stato la nostra finestra sul mondo.

Facile a dirsi, più difficile tradurre questi buoni propositi in realtà. Se vi serve un aiuto, nel 2023 si moltiplicano le proposte di vacanze digital detox. Per esempio potreste trascorrere un ritiro di tre giorni a Gadmertal (barefootsisters.ch/digital-detox): yoga, meditazione, bagni nel ruscello, camminate a piedi nudi, ovviamente senza smartphone (e già che ci siamo anche senza uomini, in un programma tutto al femminile). Logout Livenow (il nome è un programma) è invece un’agenzia di viaggio attiva in Sardegna e interamente ispirata al detox: smartphone, tablet o pc vengono requisiti all’arrivo e restituiti solo alla partenza (e chi vuole una foto ricordo può rispolverare la buona vecchia Kodak). Nel frattempo l’isola finlandese di Ulko-Tammio, nel golfo orientale della Finlandia, si è proclamata «libera da telefoni». Altri si procurano un dumb phone, ovvero dei cellulari con solo le funzioni essenziali, chiamate e SMS: al bisogno si è reperibili ma senza le tentazioni dei social.

Tornando alla ricerca di Booking dalla quale siamo partiti, troviamo un altro dato sorprendente: solo il 36% dei lavoratori dipendenti sarebbe disposto a scegliere una destinazione senza Wi-Fi; figurarsi i professionisti, abituati a essere reperibili in ogni giorno e ora. Che cosa ci dice esattamente questa informazione? Che senza connessione proprio non sappiamo stare e abbiamo urgente bisogno di una (ri)educazione digitale? Questa è l’interpretazione più comune ma potremmo anche pensare, semplicemente, che la disconnessione è un lusso non alla portata di tutti. Dinanzi alla richiesta di un superiore molti sentono di non poter dire di no; forse solo chi comanda può davvero rendersi irreperibile. E se le vacanze digital detox sono spesso piuttosto lussuose e costose, una ragione ci sarà.

Il digital detox è solo un palliativo? Di certo si basa comunque su una distinzione tradizionale tra tempo di lavoro e tempo di vacanza. I nomadi digitali, una nicchia in rapida espansione dopo la pandemia, hanno invece radicalmente messo in discussione il vecchio modello, con la loro scelta di lavorare da remoto in Paesi stranieri. In questa nuova prospettiva i luoghi prescelti devono rispondere ad alcuni requisiti tecnici ‒ il costo della vita, la sicurezza, la sanità, la qualità delle connessioni, il fuso orario compatibile coi propri datori di lavoro, la disponibilità di spazi di co-working eccetera ‒ ma la scelta finale è poi determinata da criteri puramente turistici: la mitezza del clima, le spiagge, la vita culturale e notturna.

La condizione di nomade digitale non è per tutti, si capisce, a modo suo anche questo è un privilegio, ma questi viaggiatori hanno avuto il merito di ripensare i fondamenti stessi del discorso. In passato abbiamo chiesto troppo alle vacanze, quasi che per magia potessero compensare le frustrazioni e i piccoli fallimenti del resto dell’anno. Forse è tempo di sollevarle da questi compiti troppo gravosi e restituire loro quel disimpegno che il nome evoca.