E ti dirò chi sei, o meglio, dove potrai lavorare. Valeva sicuramente un tempo, oggi è molto più in voga dire «Dimmi che profilo social hai e ti dirò...». Personalmente ho sempre odiato il CV, eccetto all’inizio, una volta uscita dall’Università quando riassumere il tuo percorso di studi, renderlo unico e interessante, equivaleva a tirare le somme di quanto compiuto fino a lì, proiettato, pieno di speranza, verso un mondo lavorativo appassionante in cui trovare la tua identità professionale e la tua indipendenza economica. Inizialmente ha funzionato, tutto sembrava piuttosto facile, bastava fare la scelta giusta, che in verità non è cosa di poco conto, tutt’altro. Poi le cose hanno preso un’altra piega, la mia generazione e quelle a seguire si sono presto rese conto che il mondo del lavoro non era più quello stabile dei loro genitori, le regole ad un tratto sono cambiate, alcuni principi e valori pure.
Ricordo le parole di mio padre quando andò in pensione «non invidio voi giovani di oggi, ai miei tempi inizialmente era più dura ma se avevi la stoffa e la voglia di fare riuscivi a perseguire i tuoi obiettivi e le persone avevano un codice d’onore, dei valori, oggi è tutto diverso». In effetti, negli ultimi dieci anni le cose sono cambiate rapidamente, alcuni settori sono stati completamente stravolti, e così ci siamo confrontati con un mercato del lavoro instabile, talvolta precario, talvolta stimolante, talvolta senza via d’uscita per cui parole come «ricerca» «mettersi in gioco», «aggiornarsi» sono diventate parte dell’identità di ciascuno di noi. Sono cambiate le prospettive ma anche le aspettative, sia da parte delle aziende che assumono, sia da parte di chi è in cerca.
Di recente, da una chiacchierata con la responsabile delle risorse umane di un’azienda ticinese con una popolazione lavorativa composta da diverse fasce d’età, è saltato fuori come per chi lavori in azienda da 50 anni sia sempre stato prioritario fare gli straordinari in modo da poter mettere da parte qualcosa. Per le nuove generazioni, invece, sono fondamentali il tempo libero, gli spazi e tempo per se stessi, le opportunità per poter viaggiare. Non solo, in generale sembra che i giovani arrivino in azienda con un bagaglio professionale e umano più ricco, anche più preparati dal punto di vista tecnologico ma siano anche molto più fragili e instabili dal punto di vista psicologico e umano.
Una tesi che trova riscontro già nelle Università, molto prima dunque dell’ambiente professionale. In particolare sulla piattaforma «Minding the Campus. Reforming our Universities» ho letto l’interessante articolo Perché i millenials sono così fragili nel quale, in sostanza, riportando le testimonianze di alcuni professori americani e inglesi, si dice che «gli studenti non siano più quelli di una volta». Neil Howe e William Strauss, nella ricerca I millenials vanno all’università raccontano come le nuove generazioni siano molto meno mature e resilienti di quelle precedenti e come per loro sia molto più difficile vivere la transizione, da una vita famigliare, all’autonomia e alla libertà dei campus universitari. Ci si potrebbe chiedere quale ruolo giochi la tecnologia in tutto questo, e in che misura, ma le righe stringono e dobbiamo rimandare.
Tornando invece al mio incontro mi interessa mettere in luce un altro aspetto che ci riporta al discorso del curriculum. Mi diceva infatti la responsabile delle risorse umane che oggi per molte aziende la fonte primaria dalla quale attingere, scoprire, verificare e ricevere nuovi profili sono le piattaforme social. In particolare Linkedin consente di cercare il profilo giusto in un più ampio bacino che travalica confini geografici e linguistici, presupposto ideale quando si è in cerca di profili professionali altamente specializzati e plurilingue. I curriculum tradizionali, dunque, hanno fatto il loro tempo, se volete investire su voi stessi ed essere cercati-trovati sul mercato del lavoro aprite e aggiornate il vostro profilo su Linkedin.