Di Leopoldo, dei delitti e delle pene

/ 30.11.2020
di Cesare Poppi

La data del 30 novembre segna un passo importante per i destini di quella che chiamiamo modernità. Il 30 novembre 1786, l’Arciduca di Toscana, Leopoldo II, figlio di Maria Teresa d’Austria e del Sacro Romano Imperatore Francesco II, promulga una riforma del codice penale che abolisce la pena capitale entro i confini del Granducato – pena capitale che peraltro aveva de facto abolita già nel 1769. Come corollario della riforma viene abolita dal procedimento giudiziario la tortura e si ordina la distruzione di tutti gli strumenti impiegati per le esecuzioni capitali. 

Personaggio interessante il Nostro. Eletto Arciduca di Toscana alla morte del padre quando aveva solo 17 anni secondo quell’escamotage del diritto di successione che attribuiva gli appannaggi di Serie B ai figli secondogeniti. Per cinque anni dovette giocoforza eseguire quanto deciso dai tutori che la madre gli aveva preposto. A 22 anni, però, dopo un viaggio a Vienna tornò a Firenze determinato a fare di testa sua. Mise pertanto mano a rimediare a quanto i Medici avevano storicamente fatto per impastoiare le industrie con regole e balzelli, introdusse un sistema di tassazione più razionale e condusse importanti lavori di bonifica in Val di Chiana. Dalla sua aveva anche il fatto di non dover mantenere un esercito, tanto che finì per smantellare anche le forze di mare che i Medici avevano messo in campo per combattere la pirateria. Determinato a mettere in pratica le idee dell’Illuminismo, condusse politiche avverse all’interferenza ecclesiastica negli affari di Stato pur fallendo nei ripetuti tentativi di secolarizzare le ingenti risorse del clero ed il suo strapotere politico. Su quest’ultimo fronte introdusse riforme in stile liberal che lo portarono vicino a concepire l’introduzione di una Costituzione in stile moderno – anticipando così di alcuni anni la Costituzione Francese. Pur non potendo portare a termine l’intero processo, si operò per il rispetto dei diritti dei cittadini e per regolamentare il rapporto fra potere legislativo e potere esecutivo secondo linee moderne.

Il suo interesse per le scienze lo portò a potenziare le risorse della Specola di Firenze soprattutto in campo medico, mentre sosteneva con entusiasmo le attività dell’Accademia dei Georgofili e le loro ricerche nei vari campo del sapere. Il suo interesse per la pubblica salute era in linea con le sue convinzioni umanitarie: già nel 1774 aveva promulgato quella che il popolo subito chiamò la «legge sui pazzi». Primo in Europa, legislò che gli affetti da disturbi mentali dovessero essere trattati da malati e a questo fine fece costruire l’Ospedale Bonifacio. A capo ne mise il giovane medico Vincenzo Chiarugi, passato alla storia per aver bandito dal suo istituto l’uso di catene e di punizioni fisiche, pioniere di un lungo percorso che avrebbe dovuto attendere almeno altri due secoli per vedere abolire gli ospedali psichiatrici nei paesi più sensibili d’Europa. Misure per la riabilitazione dei giovani delinquenti e la vaccinazione contro il vaiolo furono gli altri pilastri delle sue politiche sociali, tanto da meritargli la fama di essere stato uno dei sovrani illuminati più efficaci e lungimiranti dell’età moderna. Leopoldo lasciò Firenze nel 1790 alla morte del fratello Giuseppe II per succedergli sul trono di Vienna. Qui si trovò ad affrontare problemi geopolitici su di una scala ben maggiore del suo piccolo e maneggevole Granducato. A salvarlo dalla bufera che di lì a poco si sarebbe scatenata con la rivoluzione francese ci pensò una morte che lo colse a soli 44 anni.

Paradossalmente Leopoldo II non fu amato dal suo popolo. Le classi dirigenti e clericali continuarono ad ostacolarne i tentativi di riforma. Il popolo risentiva i cambiamenti imposti da un sovrano meno realista del re: il suo carattere schivo e la sua quasi leggendaria sobrietà non ne favorirono quella che oggi chiameremmo la popolarità mediatica. 

Leopoldo resta comunque nella storia per l’abolizione della pena di morte. In questo fu ispirato dall’opera di Cesare Beccaria. Il Marchese di Gualdrasco e di Villareggio, nonno materno di Alessandro Manzoni, nacque a Milano il 15 marzo del 1738. Educato dai Gesuiti, buttato fuori di casa e diseredato dal padre che non ne approvava il matrimonio, si formò intellettualmente nel circolo di Pietro Verri e degli illuministi milanesi. La sua opera principale Dei Delitti e delle Pene (1764) è universalmente considerata l’ispirazione degli abolizionisti della pena di morte in tutto il mondo. «Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità». Ormai poco pubblicizzato a favore di altre cause ed altre giornate, il 30 novembre è ancor oggi Giornata Mondiale contro la Pena di Morte.