Gentile Silvia,
le scrivo perché come tante donne della mia età (38) non riesco a ritrovarmi, a trovare un vero desiderio, o che lo si voglia chiamare «istinto», verso la maternità. Da qualche anno ormai oscillo nervosamente e faticosamente tra «sì, lo voglio, sarò madre» e il «non è imprescindibile, potrei decidere e sentirmi completa anche senza». So bene che questo dilemma è figlio dei nostri tempi. Mi ero promessa di arrivare libera alla scelta se essere madre o meno, di seguire l’istinto e non farmi guidare dalle aspettative sociali di cui siamo ancora vittime quando facciamo delle scelte, tutte coraggiose e tutte con un prezzo che mi sembra troppo alto da pagare. È alto quando penso a mia madre che mi dice «Se non facessi un figlio sono sicura te ne pentiresti. Perché è l’unica cosa veramente tua.
Tutto il resto va e viene, un figlio è per sempre tuo», e quando mi sembra già di sentire la morsa della desolazione per non aver saputo/voluto cogliere l’essenza della vita e della sua continuità che immagino un figlio possa portare. Ma il prezzo è alto anche quando mi guardo e vedo una donna ancora e sempre tormentata, solo all’apparenza equilibrata, a cui un figlio stravolgerebbe forse ancora di più la vita, prelevando tutte le energie. Sicuramente il mio stile di vita, tra studio e lavoro, impegni e interessi, non mi predispone al sentire di un vero desiderio di maternità, semmai ci fosse. E un compagno amorevole e disposto ad affiancarmi nell’avventura genitoriale, non sembra bastare per dipanare le mie indecisioni. E intanto il tempo passa…
Grazie mille per il suo ascolto. / Fabiana
Cara Fabiana,
grazie della sua lettera che dà voce al tormento di molte giovani donne divise da progetti di vita che appaiono inconciliabili. Ma forse, cercando una risposta razionale e cosciente al suo dilemma non sta percorrendo la strada giusta perché il desiderio di un bambino non nasce dal calcolo delle opportunità ma da un impulso vitale che viene da spazi interiori intermedi tra il corpo e la mente, tra il passato e il futuro. Quella richiesta istintuale è stata umanizzata da secoli di civiltà eppure conserva una sua autonomia, tanto che si può presentare nei momenti meno opportuni: quando la donna non ha un partner, non ha terminato gli studi, sta cercando lavoro o le si prospetta un avanzamento di carriera. Eppure, nonostante condizioni avverse, quel desiderio è così forte e impellente da farsi quasi sempre ascoltare ed esaudire. La sua situazione sembrerebbe invece, da questo punto di vista, molto favorevole. Ha accanto a sé una mamma desiderosa di diventare nonna che, non solo la sprona ad avere un bambino, ma implicitamente si dimostra disponibile ad aiutarla. Forse le motivazioni che adduce non sono le più convincenti perché troppo basate sulla proprietà. Quando afferma: «è l’unica cosa veramente tua», sottovaluta il dilemma della maternità, che è soprattutto quello di rinunciare al possesso, di mollare la presa consentendo che il figlio appartenga a se stesso e divenga magari diverso, molto diverso, da come la madre lo aveva sognato, atteso ed educato. Inoltre il suo compagno, pronto ad affrontare gli impegni della paternità e le responsabilità della famiglia, mi sembra meriti di essere esaudito e valorizzato. Ritengo che la prova d’amore più rilevante consista nel far propri i desideri dell’altro e nel sentirsi gratificati dall’esaudirli. Inoltre, tra le persone motivate alla realizzazione di un progetto generativo che unisca nonna, padre e madre, vorrei aggiungere il bambino che nascerà.
Il neonato non è mai una presenza inerte ma, sin dal primo incontro, una personcina viva e attiva, capace di attrarre a sé, proprio nel senso di «se-durre», la madre. Proprio perché immaturo, fragile e dipendente il cucciolo umano sollecita l’attenzione, la dedizione, la sensibilità, l’empatia di chi lo ha messo al mondo, tanto che «quando nasce un bambino nasce una mamma». Ma non solo, credo che il rapporto madre-figlio si stabilisca ancor prima, durante l’attesa, se la gestante sa aspettare affettivamente oltre che fisiologicamente. Di tutto ciò ho dato testimonianza nel mio libro L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità, Einaudi. Il sottotitolo intende sottolineare che la generazione non è mai una impresa solitaria in quanto implica sempre una genealogia femminile: la catena delle donne – madre-nonna-bisnonna-antenate – che ci ha preceduto. Il «filo rosso dell’amore», che si è snodato per secoli nel racconto delle vicende di maternità, è stato interrotto dal prevalere dei problemi contingenti, dall’assillo delle preoccupazioni quotidiane, dall’ansia di autorealizzazione. Col rischio che «le cose più importanti della vita accadano mentre siamo intente a fare altro». Se posso sbilanciarmi, cara Fabiana, le confesso una sensazione di cui non ho prove obiettive ma che si è imposta alla mia riflessione: che lei stia lentamente, inconsapevolmente, aprendo le porte della mente e del cuore all’ospite più atteso.