Denatalità e aumento dell’inflazione

/ 28.08.2023
di Angelo Rossi

La questione demografica sta prendendo sempre maggior importanza nel dibattito sul futuro dell’economia, anche in Svizzera. Mentre nei Paesi del nord i tassi di natalità conoscono, da decenni, una tendenza alla diminuzione, in molti Paesi del sud, in particolare in diversi Stati africani, fecondità e natalità continuano a essere elevate. Dalla fine dello scorso secolo i demografi ci avvertono che, se la tendenza alla denatalità dovesse continuare, nei Paesi del nord si assisterà non solo a un graduale invecchiamento della popolazione ma, a date diverse, secondo la gravità del problema, a un’inversione della tendenza demografica secolare: dall’aumento si passerà alla diminuzione di popolazione. Di quest’inversione di tendenza, e delle sue possibili ripercussioni sull’economia mondiale, si sono occupati di recente gli economisti Charles Goddhart e Manoj Pradhan nel saggio La grande inversione demografica.

Secondo noi l’originalità delle tesi di Goodhart e Pradhan risiede nel fatto che trattano alcuni aspetti economici della grande inversione demografica in un’ottica che possiamo definire monetaria, trovando così, fra l’altro, un nesso diretto tra il declino della fecondità e l’inflazione. Pradhan ha parlato del contenuto di questo libro in una recente conferenza alla CFA Society Switzerland che è un’associazione che riunisce soprattutto esponenti del mondo della finanza. L’analisi di questi due autori è la seguente. Sullo sviluppo delle economie nazionali degli ultimi decenni hanno agito due forze principali: l’inversione demografica e la globalizzazione, rispettivamente la deglobalizzazione. Vediamo dapprima che cos’è successo nei decenni a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo. In questo periodo, affermano i due economisti, la disponibilità di forze lavorative è cresciuta rapidamente per effetto della crescita dell’economia cinese, la caduta della cortina di ferro in Europa, l’aumento significativo dei tassi di attività femminile e la presenza sul mercato del lavoro di classi d’età numerose come quelle dei cosiddetti «baby boomers». Di conseguenza il potere di negoziazione dei lavoratori si è indebolito e i salari reali sono diminuiti.

Questa evoluzione del mercato del lavoro e tendenze deflazionarie accentuate hanno poi contenuto il rincaro nelle economie avanzate. La fase dello sviluppo secolare, molto influenzata dalla grande disponibilità di manodopera e dalla globalizzazione dei mercati, sta arrivando alla fine, sostengono Goodhart e Pradhan e questo, essenzialmente, in seguito all’invecchiamento della popolazione. Nei prossimi decenni la popolazione attiva tenderà a diminuire in più d’un Paese a causa dei bassi tassi di natalità. Parallelamente aumenterà la quota dei pensionati nella popolazione. La carenza di forze lavorative indurrà un aumento dei salari e provocherà tendenze inflazionistiche. Nel medesimo tempo, la deglobalizzazione ridurrà la possibilità di contenere il rincaro importando prodotti da Paesi dove i livelli salariali sono ancora bassi. A peggiorare le cose verranno le misure di limitazione dell’immigrazione che i Governi saranno costretti a prendere sotto la pressione dell’elettorato. Né c’è da sperare che l’inflazione resti un fenomeno temporaneo. L’aumento dei tassi di interesse frenerà gli investimenti e farà crescere la disoccupazione, obbligando così i Governi a intervenire con misure di sostegno della domanda globale che faranno ripartire l’inflazione nel ciclo susseguente. Nei Paesi avanzati, avvertono i due autori, i problemi demografici diventeranno sempre più grandi.

Le politiche sociali saranno dominate dai problemi legati all’invecchiamento, primo fra tanti quello del finanziamento delle pensioni. Anche qui i conflitti non verranno a mancare. Nell’impossibilità politica di aumentare l’età del pensionamento è probabile che a fare le spese di questa situazione saranno le classi di età più giovani. Il conflitto generazionale si farà dunque più acuto. Per l’economia mondiale il continuo invecchiamento della popolazione sarà, in generale, foriero di grosse difficoltà. Solo i Paesi con tassi di natalità elevati – come l’India, per esempio – saranno in grado di profittare di questa situazione. Siccome questi Paesi sono oggi tra i più poveri del pianeta è quindi probabile che lo scenario evolutivo, anticipato da questi due autori, per finire, nel mondo, aiuti a ridurre le disparità nei livelli di reddito pro-capite. Come dire: non tutto il male viene per nuocere!