Dell’arte dell’agricoltura

/ 12.06.2017
di Natascha Fioretti

Ricordo ancora quando con i miei nonni d’estate trascorrevamo qualche settimana a Grundlsee, un ridente paesino austriaco che si affaccia sull’omonimo lago. Ma ancor più nitidamente ricordo quando la nonna alla sera mi portava alla stalla dietro casa dove un’anziana signora seduta su uno sgabello e con la schiena curva sotto la pancia della mucca mungeva a mano. Le davamo il nostro contenitore per il latte in alluminio e lo riempiva. Il nonno adorava il latte fresco appena munto.

Ricordi di un tempo che fu, oggi si parla di stalle domotiche nella quali a mungere anche fino a 120 mucche c’è un robot. E tutto, ovviamente, si controlla tramite un computer e uno smartphone. Insomma anche il mestiere del contadino e del fattore non è più quello di una volta, l’innovazione tecnologica anche qui e ormai da diversi anni a iniziare dall’uso del trattore ha cambiato modi e tempi di lavoro. Ma non sempre per il meglio.

In Svizzera, ad esempio, dove ormai il numero delle fattorie e dei contadini si è dimezzato negli ultimi 40 anni, in molti lasciano perché sia fisicamente che psicologicamente non riescono a tenere il ritmo impresso dal mercato che richiede sempre maggiore velocità snaturando quelli che sono i tempi propri della natura. Altro fattore non meno importante è il calo di interesse da parte dei giovani per questo mestiere, le scuole ogni anno sfornano 300 giovani aspiranti agricoltori e tecnici del settore agrario in meno. Contadini e agricoltori si è con passione ma attirano di più le professioni del futuro, quelle in grado di offrire maggiori opportunità e risorse, che sono quelle nel settore delle scienze, dell’informatica e della tecnologia. Eppure l’agricoltura, la terra sono ciò che da secoli determina la nostra qualità e il nostro stile di vita. Non dovremmo, seppur in un’era dell’accelerazione e della semplificazione con l’ausilio di macchine sofisticate, preservare l’essenza, la natura e lo spirito originario del lavoro agricolo?

Sono rimasta affascinata quando, grazie al consiglio di una preziosa amica, mi sono imbattuta in una lettura che in pochi minuti mi ha riconsegnato la nobiltà e lo spirito di quello che il lavoro agricolo è stato nel passato. Si tratta di una ristampa del 2011 (fu stampato per la prima volta nel 1564) de «Le dieci giornate. Della vera agricoltura e piaceri della villa» di M. Agostino Gallo, agronomo bresciano. Qui si legge come la cultura antica avesse personificato e divinizzato la terra nella figura della «grande madre», generatrice di tutti i beni, di tutte le erbe e di tutti i frutti necessari alla vita degli uomini e di tutte le risorse materiali e delle energie necessarie al progresso e allo sviluppo del genere umano. Ma anche del valore che l’agricoltura aveva nel Rinascimento.

Nella sua opera Agostino Gallo tratta di quella che lui definisce «vera agricoltura», cioè un arte elevata, complessa, carica di profonde valenze culturali, con funzioni e finalità ben più ampie di quelle strettamente economiche-produttivistiche della comune tecnica agronomica. Un arte che ha il potere di promuovere un rinnovamento morale, economico, intellettuale della società, in particolare ai quei tempi, presso quei nobili, membri della classe dominante, che dalla vita in città erano stati corrotti e traviati mentre un ritorno alla terra gli era di giovamento. Per l’agronomo bresciano l’arte della vera agricoltura consiste nell’accarezzare, nutrire, e abbellire la grande madre terra dimostrandole affetto, assecondando le sue vocazioni naturali e agendo nel modo più consono a suscitare la sua liberalità nell’offrire i frutti dell’abbondanza. E l’agricoltore in grado di esprimere quest’arte è una figura eccezionale che deve disporre di molte conoscenze, avere spiccate doti organizzative e, soprattutto, la saggezza dell’uomo giusto per l’equa distribuzione dei prodotti e delle risorse della terra tra i membri della comunità migliorando così la vita di tutti. Agostino Gallo aveva già capito tutto e senza l’ausilio della tecnologia e delle macchine.