De profundis Canale di Sicilia

/ 12.03.2018
di Cesare Poppi

Notte fra il 4 ed il 5 marzo 1998. Il peschereccio «Capitan Ciccio» della flotta di Mazara del Vallo, Sicilia Meridionale, effettua una «calata» delle reti di profondità a circa 500 metri in pieno Canale di Sicilia. Per il comandante Francesco Adragna ed il suo equipaggio sembrerebbe una notte come tante altre. O forse no. Sono in molti, infatti, a ricordare come nel luglio del 1997, all’incirca sullo stesso fondale compreso fra Pantelleria e Capo Bon, in Tunisia, le stesse reti avevano riportato in superficie la gamba di una grande statua in bronzo. L’evento aveva fatto scalpore. Datato dagli esperti fra il III ed il II secolo A.C., il reperto aveva fatto supporre che la gamba fosse solo un frammento di una statua più grande custodita nelle profondità del canale da più di duemila anni. Voci, sogni, e speranze contrastanti – come vedremo – avevano accompagnato le notti in altura della flotta mazarese: «Dov’è la Statua? Esiste veramente là sotto? Chi la pescherà? Porterà fortuna o sfortuna? A chi?!». Quando l’argano deposita la rete gonfia di pesce sul ponte emerge fra le scaglie argentate del pesce azzurro La Statua: il torso avvitato nell’estasi della danza, il volto buttato all’indietro di quello che diverrà famoso nel mondo come «Il Satiro Danzante di Mazara del Vallo, Sicilia, Italia».

Primo pomeriggio di venerdì 2 marzo 2018. L’Altropologo sbuca dai vicoli della kasbah mazarese, città ad impianto arabo dove Mazara sta per marsah – il porto, l’approdo, ed entra nella Piazza della Cattedrale. Spira uno scirocco teso, caldo, fastidioso. Quello che, si dice, faccia impazzire gli armenti – dall’arabo sciouq, «vento orientale». La piazza è inondata di una luce vivida, abbacinante: Piazza d’Italia di De Chirico. Due figure immobili nel vento vicino alla fontana. «Mi scusi – potrebbe indicarmi la direzione del Museo del Satiro? Sa, temo di essermi perso…». Senza neanche voltarsi la figura fa un cenno con la testa: «Da quella parte…». Mi avvio. Non faccio neanche venti metri quando: «Siggnó’, siggnó’!…». Mi sento chiamare, mi giro. Dice di chiamarsi «Tore» – «Salvatore, ma più corto» specifica con un sorriso senza denti. Fu pescatore tanti anni fa – ora ne avrà… mah… qualunque età oltre i settanta. Alto unoecinquanta, segaligno, scuro di pelle, barba di una settimana fra le rughe. Occhi affondati nelle orbite scure accesi come fanali di via. Evidentemente povero. Camminiamo di conserva, come paranze alla pesca. Mi consegna il suo racconto. In fretta – parla e cammina in fretta. Passi corti e veloci, misto di dialetto siciliano e qualche parola in italiano. Ha capito che cerco il Satiro. Ricostruisco con parole mie la conversazione surreale (siamo veramente in una Piazza di De Chirico).

«Quando il “Capitan Ciccio” pescò la Gamba allora si cominciò a dire che dove ci fosse la Gamba ci fosse pure la Statua. I picciotti volevano a tutti i costi continuare a battere il fondale perché credevano di diventare ricchi. Ma noi vecchi – noi che ci avevano imparato i vecchi – noi si diceva che portava male. Perché porta male pescare un cristiano in mare. Pescare un cristiano in mare porta altri morti, tanti, tantissimi morti… Uno muore in mare!? Là bisogna lasciarlo. Uno affonda!? Laggiù deve stare. Che?! Voi mi dite che la Statua non è di cristiano?! Ma se la fecero in forma di cristiano un motivo ci sarà pur stato… Mi dice che era la statua di un… che?! Di un pagano?! Mah… io nun saccio niente pecchè non fui studiato comu vui. Però tutte le creature sono cristiane. Soprattutto i morti. Hanno voluto portare a riva la Statua. Mali ficiro. Fecero male: due soli sono rimasti di quelli là. Gli altri tutti morti furono. E poi, e poi avete visto anche voi del Nord sul Telegiornale: tutti… quanti cristiani pescano oggi nel Canale a Pantelleria?! Ma credete voi che li portino a riva comu ficiro con la Statua che poi dovittiro smettere di pescare?! No, no. Là li lasciano. Perché laggiù devono restare. Come dicevano i vecchi. Capito mi avete!?».

Tore si era fermato. Ora mi tratteneva per la manica della giacca, una presa leggera e decisa: «Bacio le mani, Siggnó. Vorrei comprare le sigarette ma non ho soldi». Sorriso senza denti, occhi nere scintille in agguato. Tieni, Tore, per il tuo desiderio di sigarette. E per la tua storia: de profundis animae meae.