Chi sono Dawn, Vera, Wilma e le altre, vi chiederete? Sono quattro sportive, quattro donne, che unitamente ad altre 19 hanno ispirato una ricerca di Melania Sebastiani, pubblicata poche settimane fa da Bolis Edizioni.
Quando ci sistemiamo sul divano per assistere a un grande evento sportivo non ci rendiamo conto di come sia evoluto il ruolo della donna nello sport. Passare da Belinda Bencic a Nino Schurter, da Federica Pellegrini a Marco Odermatt è un fatto normale. O quasi. Solo quando dall’Afghanistan rimbalzano notizie che parlano di donne confinate, marginalizzate, incatenate, costrette a rinunciare allo sport e persino alla formazione scolastica, capiamo quanto queste 23 pioniere abbiano scritto pagine fondamentali nella lotta per la parità di genere. Sono esempi che travalicano e nobilitano il puro gesto sportivo.
Melania Sebastiani dà voce a campionesse celebrate come la ginnasta Věra Čáslavská , la «sincronette» Esther Williams, o le mammine volanti Fanny Blankers-Koen e Wilma Rudolph. Concede però anche ampio spazio ad altre atlete di cui i media contemporanei hanno perso le tracce, ma che hanno segnato profondamente la loro epoca. Non a caso la sua ricerca si apre con la storia di Hélène Dutrieu. Belga, nata a Tournai il 10 luglio del 1877, «pronta a scardinare – scrive l’autrice – per terra, per aria e per mare la concezione della sportiva ottocentesca». Ignoro se lei fosse a conoscenza delle opinioni del Barone Pierre de Coubertin sul ruolo delle donne nello sport. Spero per lei che fosse all’oscuro.
Il padre dei Giochi Olimpici moderni riteneva che «un’Olimpiade femminile sarebbe impraticabile, ininteressante, inestetica e incoerente». Hélène Dutrieu, soprannominata la Divina, parte dalla bicicletta, con il preciso obiettivo di correre il più rapidamente possibile. Vince per due anni consecutivi (1897-98) il Campionato mondiale di velocità in pista. Si profila come antesignana di un’altra pioniera, quell’Alfonsina Strada che fu la prima donna a correre il Giro d’Italia… con gli uomini. La voglia di brivido la spinge a mollare la bicicletta per passare ai motori. A inizio Novecento, l’Europa vibra sulle sollecitazioni delle Avanguardie, fra cui il futurismo di Marinetti, in cui il motore è Dio.
Mai sazia, mai doma, dopo l’osservazione di un volo di Wright, comincia a immaginarsi in alto. E vola, vola, sempre più su, sempre più a lungo. In Francia le mettono a disposizione un monomotore chiamato «Demoiselle». Il battesimo viene più volte ritardato per alcuni inconvenienti tecnici. Poi, finalmente, il velivolo riesce a innalzarsi. Gli inconvenienti erano tutt’altro che risolti. Il «Demoiselle» si schianta, ma Hélène ne esce miracolosamente illesa. Un segnale del destino. Per smettere con le pazzie e dedicarsi al ricamo, penserà qualcuno. Manco per sogno. La paura deve essere esorcizzata.
La Dutrieu continuerà a volare tra terra, cielo, e mare, quando abbraccerà anche comandi di un idrovolante. Paradossalmente non sarà lei la prima donna a ottenere il necessario brevetto da pilota voluto dallo Stato francese. Hélène è Belga. Non può. Ma non se ne farà un cruccio. Chi è grande scruta orizzonti più vasti e più alti. E così sarà fino alla sua morte, a Parigi, il 25 giugno del 1961.
Lascio a voi le altre ventidue storie proposte nell’interessantissimo volume. Sarà, ne sono convinto, un’avventura piacevole. Per il pathos che traspare dal vissuto di ognuna di queste donne eccezionali, ma anche per lo stile leggero, ricco e al tempo stesso essenziale dell’autrice.
Vorrei concludere con un accenno a una fra le campionesse più conosciute, celebrate nel libro: Cathy Freeman. È stata l’icona dei Giochi di Sydney del 2000. Lei, rappresentante della minoranza aborigena, chiamata dal suo Governo, dal suo Comitato olimpico a fungere da ultima tedofora, colei che ufficialmente avrebbe acceso la fiamma olimpica. In quella circostanza un breve silenzio sepolcrale fu seguito da un boato colmo di emozioni. Quando poi l’atleta australiana scese in pista per i suoi 400 metri il fragore era allo zenith. Vittoria, oro, il mondo si inchinò al suo cospetto. E così i media. Cathy non poteva dare udienza personale a tutti. Decise di scegliere. Il destino, guidato dalla sua sensibilità , non baciò solo le grandi testate. Anche l’inviata della nostra Rete 1, guarda caso una donna, ebbe l’onore di trascorrere un quarto d’ora con lei.