Dall’incertezza all’imprevedibilità

/ 31.01.2022
di Lina Bertola

Con il mese di gennaio termina anche il rituale degli auguri scambiati al primo incontro nel nuovo anno. L’auspicio ricorrente è stato quello di un anno migliore. Un auspicio che esprime la speranza di riuscire a superare i sentimenti di inquietudine e di disorientamento e le sofferenze vissute nel 2021.

All’inizio della pandemia, nel 2020, nonostante le drammatiche vicende di malattia e di morte, avevamo sperato che quell’improvvisa interruzione ci avrebbe potuto offrire anche qualche occasione per metterci allo specchio del nostro vivere, per cercare di entrare in contatto con gli strati più profondi del nostro stare al mondo. Un’intima verità, pensavamo, imprigionata nella fretta dei giorni, sarebbe potuta emergere dal silenzio e dall’isolamento forzato. Un emergere da noi stessi che avrebbe potuto trasformare la solitudine sofferta in una solitudine creativa, di apertura sul domani, e lo stare a casa in un’occasione per abitare con calma il nostro mondo interiore. Anche l’idea di libertà, pensavamo, si sarebbe potuta meglio esprimere come forza interiore, come capacità di trasformare i limiti imposti in occasioni di scelta personale.

Di fatto il 2021 sembra aver soffocato, in gran parte, quel desiderio di rinascita che accompagna i momenti più bui. L’anno appena trascorso ci ha mantenuti prigionieri di una realtà sempre più indecifrabile e imprevedibile. Nel perdurare di condizioni difficili è emerso anche il lato più conflittuale della convivenza. Ci siamo rinchiusi nel nostro piccolo giardino. Incomprensioni, insofferenze, accuse reciproche sono apparse come il sintomo esasperato di fragilità che in realtà vengono da lontano, da quella normalità che continuiamo ad invocare come un miraggio.

Oggi vorrei chiudere il cerchio degli sguardi su questa nostra umanità infragilita nella speranza che anche il cerchio di questa emergenza, divenuta faticosa quotidianità, possa chiudersi presto. Torno così a chiedermi se, nonostante tutto, di tutto ciò che ci è toccato vivere qualcosa possa restarci addosso come risorsa per andare oltre. Mi chiedo se l’incertezza, che ha pervaso le nostre esistenze, possa rivelarsi anche un invito a incamminarci verso nuove possibili aperture.

Nella cultura della modernità, l’incertezza è divenuta una realtà con la quale convivere. Contro dogmi di ogni genere, contro il desiderio di un sapere assoluto e definitivo, la conoscenza umana ha continuato a riconoscersi come inesauribile ricerca di verità, ma di una verità sempre provvisoria. Per comprendere questo nuovo clima culturale, è opportuno richiamare le conclusioni proposte sul finire del secolo scorso dal filosofo Karl Popper a proposito della verità. Ogni verità scientifica deve sempre poter essere falsificabile: lo scienziato non deve proteggere le sue idee, non deve chiuderle nel cassetto delle certezze, ma al contrario sottoporle alla confutazione e alla critica. Questa consapevolezza dell’importanza del dubbio e del confronto critico delle idee è spesso diventata nutrimento etico anche nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi.

Un volto meno luminoso del valore dell’incertezza si è tuttavia impadronito di questo nostro presente pandemico: siamo in difficoltà nel prevedere ciò che accadrà domani. Pur riconoscendo l’incertezza dei risultati, la capacità di prevedere rimane un bisogno fondamentale. Non solo per la scienza, che ha inventato il calcolo delle probabilità e la statistica. Il bisogno di prevedere abita anche il nostro intimo vissuto: il desiderio, l’attesa e la motivazione parlano il suo linguaggio. È il presente del futuro, come ricorda Sant’Agostino, a dare un senso alle nostre giornate. Eppure, anche sulla reale imprevedibilità del mondo, sulla fallacia delle nostre previsioni, esistono oggi interpretazioni che ci invitano a riflettere. A cominciare dalla fisica quantistica che descrive l’imprevedibilità del comportamento delle particelle subatomiche. Poi c’è il famoso cigno nero che, in un intelligente e affascinante libro di Nassim Taleb, diviene metafora di come ciò che è improbabile governi la nostra vita.

Edgar Morin, che amo ricordare spesso per le sue riflessioni sul bisogno di assumere la complessità del mondo nella nostra esperienza personale, osserva che proprio la complessità della storia ha spesso smentito le nostre aspettative. Nella sua prospettiva, l’imprevedibile si trasforma nell’inatteso. Un limite si trasforma in una possibile apertura. Il che suggerisce che anche questo volto dell’incertezza, che ci espone all’imprevedibilità del domani, potrebbe diventare una risorsa. Affaire à suivre…