Dall’accordo di libero scambio all’unione economica e ritorno

/ 09.09.2019
di Angelo Rossi

Un paio di settimane fa ha fatto i titoli dei giornali svizzeri (solo per un giorno però) la notizia stando alla quale il nostro ministro dell’economia Guy Parmelin sarebbe stato intenzionato a proporre al primo ministro inglese Johnson di riportare l’Inghilterra in seno alla Associazione europea di libero scambio (AELS). La Gran Bretagna, sarà bene ricordarlo, è stata, nel 1960, uno degli Stati fondatori dell’AELS. Ma era uscita dalla stessa nel 1972 per aderire a quella che allora era la Comunità economica europea e che, più tardi, doveva diventare l’Unione europea. Con lei, e per la stessa ragione, aveva lasciato l’AELS anche la Danimarca. Il Portogallo doveva poi abbandonare l’AELS nel 1985 mentre Svezia, Austria e Finlandia l’avrebbero fatto nel 1995. Degli Stati fondatori o di quelli che l’avevano integrata fino al 1991, a fine secolo, non restavano nell’AELS che la Svizzera e la Norvegia. Ad essi erano venuti ad aggiungersi l’Islanda, nel 1970, e il Liechtenstein, nel 1991.

Gli scopi dell’AELS sono abbastanza simili a quelli dell’UE. L’associazione vuole promuovere il libero scambio e l’integrazione economica tra gli Stati membri. Ovviamente il fatto che sia stata creata in parallelo con la Comunità europea (il trattato di Roma che la creò è del 1965) significa tuttavia che differenze debbano esistere tra la visione dell’AELS e quella della CEE, rispettivamente dell’UE in materia di libero scambio e integrazione. È raro che i media parlino di queste differenze. Ci sembra tuttavia interessante, proprio perché oggi la Svizzera invita la Gran Bretagna a ritornare sui suoi passi, esaminare un po’ più da vicino di che cosa si tratti. Le esperienze disponibili in materia di integrazione economica tra le nazioni consentono di stabilire una gerarchia del tipo di accordi, da quello che richiede meno rinunce alla sovranità nazionale a quello che impone più obblighi agli Stati aderenti. Alla base di questa piramide ci sono gli accordi preferenziali con i quali gli Stati si concedono reciprocamente, normalmente in base a trattati bilaterali, preferenze di trattamento doganale e basta.

Viene poi, per l’appunto, la zona di libero scambio come quella dell’accordo AELS con soppressione totale degli ostacoli al commercio e protezione verso l’esterno fissata liberamente da ciascun membro. Segue, nella progressione dell’integrazione, l’unione doganale, come lo Zollverein che, nella seconda metà dell’Ottocento, stabilì praticamente un mercato integrato all’interno degli Stati tedeschi. La caratteristica dell’unione doganale è che la protezione verso l’esterno è unica e viene applicata in comune da tutti i membri. Con il mercato comune si fa un passo in più nella direzione di una maggiore integrazione. Alle regole già ricordate, il mercato comune aggiunge la libera circolazione dei fattori di produzione (capitale e lavoro) all’interno dell’area integrata. Ma la progressione verso l’integrazione completa non finisce qui. Dopo il mercato comune viene il mercato unico che sopprime praticamente ogni e qualsiasi barriera fisica, tecnica o fiscale, tra gli Stati membri. Dal mercato unico si sale all’unione monetaria che presuppone naturalmente l’adozione di moneta e politica monetaria uniche. Da qui si può solo salire ancora verso l’unione economica piena se gli Stati membri adottano una politica economica comune. Il grado di integrazione dei mercati sale continuamente, dagli accordi con clausole preferenziali all’unione economica. 

La Gran Bretagna che ha sicuramente interesse a mantenere, in un certo grado, il libero scambio, potrebbe essere interessata da ogni proposta che le consenta di ottenere questo obiettivo senza dover accettare anche la libera circolazione dei fattori di produzione. È sicuro che, indipendentemente da come la Brexit sarà regolata, il governo inglese si metterà al lavoro per concludere alleanze libero-scambiste con le economie che maggiormente lo interessano, in primis naturalmente quella degli Stati Uniti. Vista la debole consistenza dell’associazione è invece molto dubbio invece che la proposta di Parmelin di ritornare nell’AELS possa figurare presto nella lista delle sue priorità.