Nell’ultima rubrica ho raccontato quanto poco io ami gli anniversari ed ecco che me ne occupo nuovamente: sono un esempio vivente di umana incoerenza. Ma ho almeno la scusante di un anno, questo 2022, con troppe tentazioni.
Cinquecento anni fa, il 6 settembre 1522, la Victoria entra nel porto di Siviglia. È l’unica sopravvissuta di una flotta di cinque navi, in pessime condizioni; sembra restare a galla solo per una speciale grazia divina. A bordo, diciotto marinai superstiti sfiniti e macilenti, su duecentocinquanta ch’erano partiti. Inutilmente si cercherebbe tra loro l’ammiraglio Ferdinando Magellano, morto in uno scontro con gli indigeni in un’isola delle Filippine. Anche dal punto di vista politico e commerciale il fallimento è completo. Eppure, da un diverso punto di vista, la Victoria ha portato a termine una delle più grandi imprese dell’umanità: in due anni, undici mesi e diciassette giorni ha compiuto la prima circumnavigazione del globo, dopo aver scoperto e attraversato lo stretto di Magellano, la via di comunicazione tra l’oceano Atlantico e il Pacifico.
È l’alba della globalizzazione, il primo, incerto passo verso il mondo contemporaneo. Il viaggio di Magellano è ricco di scoperte, sorprese, meraviglie, a cominciare dal giorno perduto navigando sempre verso occidente. Quando i suoi uomini sostano alle isole di Capo Verde, credono sia mercoledì, ma scoprono che per i portoghesi è invece giovedì.
E poi l’altro anniversario. Centocinquant’anni fa, il 2 ottobre 1872, un gentleman inglese, Phileas Fogg, parte insieme al suo cameriere francese Passepartout. Dopo un’accesa discussione con gli altri soci del celebre Reform Club di Londra, Fogg ha scommesso una fortuna che riuscirà a compiere Il giro del mondo in ottanta giorni. Comincia così l’opera più conosciuta di Jules Verne.
Strada facendo, ma solo per necessità narrative, Fogg dovrà superare numerosi ostacoli e le sorprese non mancheranno, sino al colpo di scena finale (che non riveliamo), ispirato proprio alla vicenda di Magellano. Ma nel suo significato profondo il romanzo di Verne è piuttosto l’esaltazione dei nuovi mezzi di trasporto (ferrovia, piroscafo) e delle moderne vie di comunicazione, prima tra tutte il canale di Suez (1869). Soprattutto è espressione di un mondo prevedibile, regolamentato in ogni suo aspetto, che si muove al tempo esatto e incalzante dell’orario ferroviario.
Di tutti i romanzi di Jules Verne, Il giro del mondo è quello meno fantasioso e visionario. Dopotutto già nel 1870 un geniale ed eccentrico imprenditore americano, George Francis Train (nomen omen) aveva anticipato il record di Fogg; e nel 1889 la coraggiosa giornalista Nellie Bly fu la prima a compiere lo stesso viaggio senza essere accompagnata da uomini. Ma c’è di più. In quello stesso 1872 il primo agente di viaggi della storia, l’inglese Thomas Cook, condusse un gruppo di turisti intorno al mondo, percorrendo quarantamila chilometri in 222 giorni. Ovviamente, non avendo record da battere, Cook se la prese più comoda, con frequenti visite turistiche. «Ho imparato a circumnavigare il globo» disse una volta tornato a casa, con un’inconsapevole eco del sogno di Magellano. «Il mondo appartiene a Thomas Cook», scrissero invece i giornali. E in effetti non erano passati nemmeno dieci anni da quando l’agente di viaggi aveva condotto un primo, piccolo gruppo di viaggiatori in Svizzera, affacciandosi al di fuori del Regno Unito.
Sono due giri del mondo così diversi: l’uno esplorativo, difficile, tragico, l’altro invece con un itinerario ben definito, facile, sicuro… Al tempo di Magellano il planisfero era pieno di spazi bianchi, dove proiettare l’immaginazione e il desiderio di scoperta. Quando Verne scriveva il suo romanzo invece l’espansione coloniale stava sciogliendo gli ultimi misteri della geografia, a cominciare dalle sorgenti del Nilo. Un mondo misterioso rispetto a uno troppo conosciuto? L’età d’oro dei viaggi e il suo triste declino nel turismo? È una conclusione facile e per questo tentatrice.
In realtà il giro del mondo, allora e poi, era forse solo un sottile filo rosso disteso intorno a tutta la superficie della Terra. Il suo sin troppo evidente valore simbolico non deve farci dimenticare che il nostro pianeta, oggi come allora, è avventuroso, inquietante e misterioso; ma solo per chi sa guardarlo con occhi nuovi, per chi sa andare oltre le apparenze.