Venerdì 20 gennaio, la cornice spettacolare della Casa Bianca ha fatto da megafono, con risonanza mondiale, a una parola tutt’altro che inattesa, anzi scontata nella semplicistica oratoria del neoeletto: ed è, appunto, popolo. Ma Donald Trump non inventava niente. Si è, invece, appropriato di un termine d’uso corrente, che ormai esprime, e come, lo Zeitgeist, al di là e al di qua dell’Atlantico. Se, negli USA, un magnate-presidente, con faccia tosta, intende «ridare voce al popolo», strappandolo dal silenzio in cui l’avrebbe esiliato l’élite al potere, in Europa, non si è da meno. A Londra, a Berlino, a Parigi, a Roma, a Budapest, e persino a Berna, risuonano gli stessi discorsi, in cui si tira sempre in ballo il popolo, alias la gente o la cittadinanza.
A questa entità, in realtà multiforme e sfuggente, si attribuiscono valori comuni e idealizzati: una spontanea saggezza, addirittura, il monopolio dell’onestà. Dunque, spetta a loro, al signor e alla signora nessuno, il compito di smantellare l’egemonia dei partiti tradizionali e delle istituzioni ufficiali. Si tratta di mobilitarli, in nome di un bisogno di cambiamento, in sé naturale, ma esasperato da abili tribuni che sfruttano una contrapposizione d’ordine morale: da un lato i profittatori, corrotti dall’esercizio del potere, e, dall’altro, i cittadini, esautorati e repressi. Insomma, si ripropone l’antitesi, in termini assoluti, fra il bene e il male, cioè qualcosa che, per la sua ingenuità, dovrebbe insospettire.
Ecco, invece, che nell’era dell’emancipazione economica e culturale delle masse, i manovratori delle opinioni, e soprattutto dei sentimenti popolari, trovano ascolto tanto da creare un vero e proprio filone di pensiero: l’antipolitica, affidata alla pratica del populismo. Una tendenza che si sta affermando e attecchisce, anche nei terreni delle democrazie più consolidate. Il filosofo politico inglese, John Gray, che ne aveva avvertito i sintomi premonitori, parla di un’ondata rovinosa: «una paranoia», perché questi guru diffondono una concezione distorta della libertà democratica e fanno capo all’illusione. Gli esempi si sprecano. In proposito, basta attingere al repertorio di Grillo: quando sostiene che, la brava casalinga che gestisce correttamente il bilancio familiare, potrebbe assumere la responsabilità di ministro dell’economia. Sono battute, ispirate proprio a quel famoso buon senso popolare, che a volte ci azzecca. Del resto, l’antipolitica, come ogni forma di critica, rivela, magari, un certo fiuto e soprattutto diverte. Ricordiamo, tutti in Ticino, le comparsate televisive dell’impareggiabile Nano, sul piano dello spettacolo figura vincente, rispetto ai personaggi dell’establish-ment.
Divagazioni a parte, sta di fatto che, sotto l’urto del populismo, le nostre relazioni con la politica, persino con la scienza, con la medicina, la scuola, la cultura, in una parola l’autorità istituita, rischiano di venire stravolte da accuse, magari pretestuose di raggiri e truffe d’ogni genere. E così si accentua il disamore per la politica, definito dagli psicologi «sindrome per stanchezza da democrazia». Mentre, d’altro canto, prende quota e credibilità il virtuoso intuito del popolo che, secondo una nuova retorica, sarebbe in grado di guidare le sorti nazionali. In che modi e con quali risultati, non è dato sapere. Comunque, a ben guardare, anche il saggio popolo elvetico, a suo tempo esclusivamente maschile, non ha fatto sempre le scelte giuste. Il caso più flagrante: i diritti politici concessi alle donne, nel 1971, con quasi un secolo di ritardo rispetto alla Nuova Zelanda 1893 (se ne parla nell’articolo di Valentina Grignoli a pag. 4, ndr).
Del resto, il buon senso popolare potrebbe riservarci altre discutibili sorprese. Come si sa, l’instabilità politica e la crisi economica sono cattive consigliere. Nella stampa d’oltre Gottardo, i sondaggi d’opinione fra i comuni cittadini rivelano sintomi inquietanti: cresce il numero dei fautori della pena capitale e i muri alle frontiere non sono malvisti. E, per concludere, diamo la parola a un esperto in materia, Blocher: «Il popolo non ha sempre ragione, ma la sua decisione deve valere». Un bell’esempio di equilibrismo politico.