Dalla netiquette all’arte perduta della comunicazione

/ 27.11.2017
di Natascha Fioretti

Non so se vi è capitato e se avete provato lo stesso fastidio: su Whatsapp da qualche tempo, sia contatti telefonici che ho in rubrica ma non utilizzo da tempo, sia persone che conosco e con le quali sono già in contatto via Facebook o via mail, mi mandano inviti in pdf per i loro eventi che mi hanno già segnalato più volte altrove. Personalmente questa invasione di campo, l’utilizzo di un canale che personalmente uso soltanto per comunicare in modo rapido con gli amici più stretti e i famigliari, raramente qualche gruppo («io odio i gruppi!»), non mi piace. Pubblicizzare il proprio evento è lecito ma insomma farlo su Whatsapp perché è rapido e con un solo invio manda la stessa locandina a tutti i numeri in rubrica mi sembra davvero pecchi di originalità. Almeno un messaggino personale prima per chiedere se uno è interessato, è disposto a ricevere un file pdf o un’immagine, stabilire un contatto personale. Invece cadiamo sempre nella tentazione di usare la tecnologia per portare a termine le nostre prestazioni nel modo più sbrigativo, semplice e impersonale possibile. 

Se leggete la mia rubrica e avete il mio contatto telefonico, segnatevelo, non mandatemi inviti in pdf o altro via Whatsapp, scrivetemi via mail o segnalate il vostro evento in bacheca su Fb. Se sono tra i vostri contatti ci farò caso e deciderò se mi interessa oppure no. Insomma se tutti facessero così in un giorno quante volte suonerebbe Whatsapp distogliendo la nostra attenzione da altro? E poi a che pro, un conto è fermarsi un attimo a leggere un messaggio istantaneo e breve, un altro è doversi prendere il tempo di leggere e, soprattutto, di capire, mentre si è alla guida, di corsa al supermercato o a scuola a prendere i bimbi. Nel migliore dei casi si prendono fischi per fiaschi, si scambia la data per un’altra o ci si dimentica immediatamente della minuscola locandina colorata che finisce subito nel cestino.

Mi chiedo: non è più bello, soprattutto più costruttivo ed efficace, sia per chi fa l’invio, sia per chi lo riceve, fare in modo che il messaggio di un certo tipo raggiunga l’utente in un momento di calma e di tranquillità in cui ha modo di scorrere con attenzione, selezionare e leggere i messaggi, le novità che più lo interessano? Ci vorrebbe, come per tutte le interazioni sociali, una guida al galateo per l’utilizzo di Whatsapp e affini. Esiste qualcosa di simile, in gergo si chiama netiquette, da network, rete, e étiquette, buona educazione, e indica un insieme di regole informali che disciplinano il buon comportamento dell’utente online. In caso di mancato rispetto della netiquette c’è la disapprovazione degli altri utenti della Rete. Andrebbe sicuramente messa a punto e fatta girare... 

In ogni caso, Whatsapp a parte, stiamo proprio disimparando non solo a scrivere e a prenderci il tempo per farlo bene, ma a relazionarci gli uni con gli altri in quel modo che fa sentire unica e importante la persona alla quale ci rivolgiamo. Sempre di più tendiamo a rivolgerci alla massa, al maggior numero possibile di persone e di contatti che possiamo raggiungere perché la quantità vince sulla qualità, la velocità sulla lentezza, la distrazione sulla concentrazione. Non chiediamo davvero attenzione e comprensione profonda, mutuo scambio, ciò che rincorriamo affannosamente è la partecipazione, la condivisione, il consenso a prescindere. Questo è il metro di misura con il quale oggi misuriamo il successo delle nostre comunicazioni sempre più immediate, vuote e stereotipate. 

L’altro giorno in un negozio shabby chic ho comperato una cassetta delle lettere molto vintage, del colore delle foglie della salvia, con la scritta incisa e romantica «Post». L’ho comperata e ho subito detto all’amica che era con me «mi scriverai qualche volta, altrimenti andrà sprecata perché sarà destinata a contenere solo bollette e pubblicità». Non so voi, ma a me le lettere mancano molto. E le comunicazioni, quelle vere, autentiche, pure.