In attesa che Carlos Alcaraz prosegua il suo travolgente e luminoso cammino, vorrei esprimere un giudizio strettamente personale sull’ultimo ventennio, quello baciato dalle magie della triade Roger Federer, Novak Djokovic e Rafael Nadal.
Roger One ha vinto qualche briciola in meno dei suoi rivali, ma per me rimane il più grande. Ha saputo costruire una carriera divina basandosi sul talento, pagando un gap fisico non indifferente a Rafa e Nole. Ha prodotto un tennis che sovente sfociava nella danza, nell’arte, nell’invenzione pura. In questi ultimi due anni, spesso mi sono ritrovato a pensare: «Senza di lui – non me ne vogliano i suoi rivali storici e i presunti eredi – sarà un altro tennis».
Da alcuni giorni il timore è diventato una cruda realtà. Non so se sarò disposto a rimanere per ore sul divano ad assistere a sfibranti sfide tra robusti fondocampisti. Lo penso a prescindere dal fatto che Roger e io abbiamo lo stesso passaporto. Lo sciovinismo, a volte, è un cattivo consigliere. Per magia, quasi a volersi sovrapporre al Sommo, è arrivato lui, Carlos Alcaraz. La prima volta che l’ho visto giocare ho subito pensato a Roger. Gli appuntamenti successivi mi hanno confermato che il paragone ci stava. Classe, forza mentale, strategia, varietà di colpi. Pareva un clone. Con una differenza sostanziale: il giovane iberico è moderatamente esuberante. Il Basilese alla sua stessa età era uno sfasciaracchette seriale.
Due settimane fa, Carlos Alcaraz ha completato la scalata. Vincendo la finale degli US Open contro il norvegese Casper Ruud, si è issato al primo posto del ranking mondiale. Il più giovane leader di sempre. A soli 19 anni e 130 giorni. Un anno e due mesi meno del precedente primatista, l’australiano Lleyton Hewitt.
L’esercizio più delicato comincia ora. Salire è stato difficile. Restare in alto lo sarà ancora di più. Alcaraz – il cui cognome guarda caso è l’anagramma di Alcazar, uno degli splendidi palazzi reali spagnoli – dovrà fare i conti con tutti coloro che, sfidandolo, cercheranno di centuplicare motivazione ed energia. Ci proveranno Nadal e Djokovic, gli unici over 30 rimasti nella Top 10. Saranno seguiti dai rappresentanti di quella che tutti consideravano come la Next Gen: Medvedev, Zverev, Tsitsipas, Rublev gravitano tra i 24 e i 26 anni. Avranno voce in capitolo, senza dubbio, come in passato l’hanno avuta eccellenti giocatori come Andy Murray e Stan Wawrinka, che hanno provato ad assediare il castello dorato dei Magnifici Tre.
Per poter trascorrere ore di passione davanti ai teleschermi avrei una speranza. Quella che accanto ad Alcaraz crescano anche i Federer, i Nadal e i Djokovic del futuro immediato. L’italiano Jannik Sinner, 21 anni, sa come si può sconfiggere il nuovo No1. Lo stesso Casper Ruud, che di anni ne ha solo 23, a Flushing Meadows ha messo a dura prova la resistenza di Carlos. Se non nascesse una nuova triade in grado di spartirsi la torta, tra 15-20 anni, il palmares di Carlos Alcaraz potrebbe raccontare cifre da capogiro. Non solo per i guadagni, ma anche e soprattutto per il numero di Grandi Slam conquistati.
Fino al giovedì nero in cui Roger Federer ha fatto la riverenza, avevo un auspicio. Anzi un umile suggerimento al clan dei Basilesi. Perché non organizzare a breve una sfida-esibizione tra King Roger e Re Carlos? Location: il Santiago Bernabeu di Madrid gremito da oltre 100mila spettatori in festa. Introiti, provenienti dal botteghino, dai diritti Tv e dal merchandising, da devolvere alla Roger Federer Foundation e a un’entità benefica scelta dall’erede al trono. Pensavo, signori sbrigatevi, agite non appena il ginocchio del nostro Mozart della racchetta gli consentirà di rimanere in campo con dignità. Purtroppo il tempo ha espresso il suo verdetto. Forse questa idea verrà al clan di Rafa Nadal. Seguirei senza dubbio la sfida tra i due Spagnoli, con una lacrimuccia, ma anche con la consapevolezza che non ci sarebbe nulla di fuori posto, se non l’assenza di Roger.