L’aspetto della sala è piuttosto impressionante: sembra di essere in uno di quei centri di comando da vecchio film di fantascienza. L’effetto retrò non è casuale. Molti dei macchinari che troneggiano nella stanza sono effettivamente calcolatori elettronici che arrivano da quegli anni. Il professor Carlo Spinedi e i suoi colleghi, affiliati all’ASTiSi (Associazione per la storia dell’informatica della Svizzera italiana, www.astisi.ch) da decenni si occupano di raccogliere in un’aula della SUPSI di Trevano le «macchine informatiche» dismesse: obsolete, da un punto di vista tecnologico ma non per questo meno interessanti e importanti per chi si interessa di ingegneria e programmazione, e, soprattutto, deve insegnarla. Non si tratta qui, infatti, di una semplice iniziativa motivata da uno spirito nostalgico o un po’ nerd, ma di mantenere un contatto concreto con tecnologie e sistemi che hanno costituito, per così dire, i mattoni fondanti dell’attuale «mondo digitale».
Nell’illustrarci i contorni dell’iniziativa, Carlo Spinedi non può che iniziare a raccontare una sorta di storia dell’informatizzazione della società ticinese e, in particolare, dell’introduzione dell’informatica nel nostro sistema scolastico/formativo. E, ripercorrendo le tappe della sua carriera, Spinedi ci racconta che durante i suoi studi al Politecnico di Zurigo, negli anni 60, gli era capitato di prendere contatto con quelle attrezzature che all’epoca erano veramente imponenti e futuristiche. «All’inizio non si parlava ancora di computer, ma piuttosto di calcolatori elettronici. Erano macchine in grado di compiere calcoli complessi, che servivano essenzialmente per creare delle simulazioni di fenomeni, aiutandone lo studio». Una delle prime applicazioni che ricorda di aver affrontato era quella della regolazione di un’«onda verde» semaforica. Con il passare degli anni poi i calcolatori stessi si erano evoluti, aumentando le loro capacità di calcolo, ma soprattutto acquisendo la possibilità di essere guidate da un linguaggio di programmazione.
Carlo Spinedi ci indica una delle grosse unità dall’aria «vintage»: «Con quella ho programmato un sistema che collegava tra loro vari sensori termici: misuravano la temperatura in vari punti di una costruzione esposta ai raggi solari. Il sistema per interfacciare i computer ai sensori e il programma stesso per gestire le misurazioni non esistevano, ho dovuto inventare tutto da zero…». La macchina è ancora lì, e grazie alle sue dimensioni troneggia all’interno della sala: al suo fianco, come detto stanno decine di altre apparecchiature (in totale sono più di 300, la collezione è presentata qui: www.supsi.ch/go/lastin) in gran parte ancora funzionanti e sottoposte a regolare manutenzione. Confrontandole con i computer che siamo abituati a utilizzare oggi, così diversi per potenza e dimensioni, ci rendiamo conto concretamente di quale sia stata la portata del mutamento tecnologico. Spinedi, tra l’altro, è stato membro del gruppo di docenti che per primi hanno iniziato a sollecitare le autorità cantonali affinché introducessero l’insegnamento dell’informatica nel sistema delle scuole professionali ticinesi. «La Scuola tecnica di allora formava principalmente architetti e disegnatori. Con alcuni miei colleghi ci siamo resi conto che presto sarebbe stata necessaria una preparazione specifica in questo campo tecnologico. Abbiamo istituito il primo corso nel 1986 e avevamo avuto 100 candidature: avevamo selezionato venti candidati, di cui undici avevano terminato il corso di studi. Oggi quegli undici occupano tutti i posti importanti».
L’annotazione conclusiva di Spinedi ci ricorda che il lavoro dell’Associazione per la storia dell’informatica della Svizzera italiana, oltre alla conservazione del patrimonio delle competenze tecnologiche acquisite nel corso degli anni, si dedica anche a salvaguardare il ricordo delle persone che, di questa storia, sono state protagoniste. Pionieri che ci hanno guidato verso la modernizzazione tecnologica della Svizzera italiana.