Crisi nei cieli

/ 18.07.2022
di Claudio Visentin

#revengetravel è l’hashtag dell’estate 2022; o #liberationtravel, se preferite. Di certo dopo lunghi mesi di lockdown e restrizioni assortite la voglia di recuperare il tempo perduto è esplosiva. Il 70 % degli europei sta organizzando un viaggio da qui a novembre (European Travel Commission); le prenotazioni hanno sorpassato i livelli pre-pandemia (Mastercard); in rete si registrano ricerche record in ambito turistico (Google).

L’ottimismo tuttavia deve fare i conti con la realtà. Per cominciare dobbiamo quasi imparare da capo i fondamenti del viaggio: quanto tempo prima devo chiedere il visto? Cosa si mette in valigia per più settimane? Guide cartacee oppure online? Inoltre la macchina organizzativa del turismo fatica a rimettersi in moto. A guerra, inflazione, aumento del prezzo dei carburanti e risvegli del morbo si è aggiunto nelle ultime settimane il caos negli aeroporti di mezza Europa.

Amsterdam Schipol ha ridotto la sua operatività del 16%, Londra Gatwick del 10% e così via. Di conseguenza le compagnie aeree hanno dovuto cancellare molte partenze. British Airways per esempio ha annullato quasi diciottomila voli in giugno, togliendo dal mercato tre milioni di posti. Non va meglio per KLM, Lufthansa, easyJet, Ryanair.

La principale strozzatura sembra essere la carenza di personale. Qualche compagnia ha licenziato buona parte dei suoi collaboratori con troppa disinvoltura nei momenti difficili e, quando la domanda è ripartita di colpo, ha scoperto che questi nel frattempo hanno trovato altre occupazioni. A Heathrow, il principale aeroporto di Londra, negli anni scorsi un assistente di terra guadagnava poco meno di ventimila sterline, ora non lo si trova neanche a trenta (e comunque ci vuole tempo per addestrare nuovi collaboratori). In questi anni il personale rimasto in servizio ha visto peggiorare le sue condizioni contrattuali e se ha accettato la situazione quando le principali compagnie aeree perdevano sino a un milione di dollari l’ora (!), ora è molto meno conciliante: da qui i numerosi scioperi. Anche l’introduzione di nuove tecnologie per evitare contatti personali sta creando disagi perché non ancora abbastanza sperimentate. Ci sono poi gli imprevisti di sempre: nell’aeroporto parigino Charles de Gaulle un banale guasto tecnico ha mandato in tilt il sistema di riconsegna bagagli.

Ognuno ha una storia da raccontare. Lo scorso 21 giugno il veterano della Royal Air Force (RAF) Joe Rylance, 83 anni, è rimasto seduto per terra per un’ora in uno stretto corridoio dell’aeroporto di Pisa, prima di sentirsi dire che il suo volo per Manchester era cancellato. Avrà rimpianto il tempo quando, pilotando aerei da guerra, almeno riusciva a decollare?

Al di là delle diverse storie, è diffusa la convinzione che questa non sia una crisi passeggera. Un portavoce di British Airways ha sostenuto che «l’aviazione affronta il periodo più impegnativo della sua storia». In Germania il ministro del Lavoro Hubertus Heil ha ammesso che «qualcosa è andato storto». E anche l’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’ Leary, con la consueta franchezza ha affermato che da molti punti di vista il tempo delle compagnie low cost potrebbe essere finito: «Non credo che i viaggi aerei siano sostenibili nel medio periodo se il prezzo di un biglietto è di quaranta euro». Nelle previsioni di O’ Leary il costo di un volo Ryanair potrebbe passare a cinquanta o sessanta euro, tra ecotasse e aumenti del carburante, ma la sua stima sembra davvero ottimistica. Io non mi stupirei se aumentassero di dieci volte. Nel mondo delle compagnie low cost infatti ci sono troppi costi nascosti, attualmente scaricati sulle destinazioni, sull’ambiente, sulle condizioni di lavoro di assistenti e piloti.

È una situazione paradossale. Certo queste compagnie hanno molto ampliato la platea dei viaggiatori, ma hanno davvero reso il volo alla portata di tutti? Anche se paghi l’aereo poche decine di euro, viaggiare resta costoso, tra alberghi, ristoranti, attrazioni. Volare è un privilegio? Prima della pandemia solo il 3% della popolazione mondiale prendeva l’aereo almeno una volta l’anno e nel 2018 appena l’11% ha fatto almeno un volo aereo (secondo uno studio dell’università Linnaeus).

I passeggeri sono quasi tutti professionisti, dirigenti e funzionari; solo 2% gli operai. In compenso l’1% degli esseri umani, i Frequent Flyer, causa da solo il 50% delle emissioni di CO2 attribuite agli aerei. Una volta superato il caos, serviranno idee nuove.