Credit Suisse all’ultima spiaggia

/ 01.08.2022
di Peter Schiesser

Se ci avessero detto 15 anni fa, prima della crisi finanziaria del 2008, che il valore del titolo di Credit Suisse sarebbe passato da quasi 90 a poco più di cinque franchi, non lo avremmo creduto possibile. Durante quella tempesta, scatenata dalla crisi dei mutui negli Stati Uniti, il CS non aveva neppure avuto bisogno dell’ombrello finanziario della Confederazione, diversamente da UBS, giunta a un passo dal fallimento. Per cui negli anni successivi, quando le banche centrali degli Stati Uniti e dell’Unione europea avevano inondato il mondo di carta moneta per evitare l’implosione dell’economia, non aveva avuto motivo di cambiare la sua strategia, caratterizzata da un forte investment banking e un’alta propensione al rischio. In un periodo in cui i tassi erano vicini allo zero valeva la pena investire in borsa, l’investment banking era una gallina dalle uova d’oro, la compra-vendita di azioni, il finanziamento di fusioni e acquisizioni di aziende portava centinaia di milioni di profitti. Il CEO di Credit Suisse Brady Dougan brillava come un Re Mida, indennizzato lautamente con complessivi 150 milioni di franchi. Poi i problemi hanno cominciato ad accumularsi fino a manifestarsi visibilmente nel 2015. Il manager americano ha dovuto lasciare il posto a Tidjane Thiam, costui poi a Thomas Gottstein. Che non hanno avuto maggior fortuna, poiché nel 2021 il bubbone è esploso.

L’investment banking si è rivelato sì fonte di grossi guadagni in certi anni, ma in altri anche di grosse perdite. Inoltre sono venuti a galla numerosi scandali, figli dell’eccessiva propensione al rischio: il 1. marzo del 2021 Credit Suisse ha annunciato perdite stimate fra i 2 e i 3 miliardi di franchi per investimenti andati male nella Greensill Capital; il 29 marzo il fallimento dello Hedge Fond Archegos causa un danno di 10 miliardi di dollari, il Credit Suisse perde 5 miliardi; il 19 ottobre l’organo di sorveglianza finanziaria Finma rimprovera al CS di non aver segnalato gli atti di corruzione avvenuti in un affare che ha coinvolto due aziende statali in Mozambico: del credito di un miliardo di dollari concesso dalla banca, 150 milioni sono serviti per corrompere funzionari statali del paese africano e 50 milioni sono stati intascati dall’ufficio londinese del Credit Suisse – la banca ha accettato una multa di 475 milioni di dollari e dovrà risarcire il Mozambico con altri 200 milioni; per finire, il 17 dicembre il ministero pubblico della Confederazione ha accusato la banca di non aver chiuso i conti sui cui transitavano capitali della mafia bulgara. In totale, fra multe e perdite per investimenti rischiosi, il Credit Suisse ha perso in dieci anni oltre 10 miliardi di franchi, e soprattutto la fiducia di investitori e clienti (negli ultimi anni i patrimoni gestiti sono diminuiti di oltre 7 miliardi). Una combinazione tossica, perché la chiave del successo di una grande banca sta nella fiducia che si ripone in essa.

Ora, dopo la perdita di 1,6 miliardi nel primo trimestre del 2020 e di fronte al disastro continuo, il Consiglio d’amministrazione del Credit Suisse tenta la rivoluzione: l’investment banking verrà ridotto a servizio di sostegno della gestione patrimoniale, si forzerà ulteriormente il cambio di cultura, via da un’alta propensione al rischio, inoltre i costi dovranno essere ridotti da 16,8 a 15,5 miliardi di franchi, ciò che lascia presagire migliaia di licenziamenti. In sintesi, è il cammino che UBS ha imboccato dieci anni fa. Non a caso il presidente del CdA Axel Lehmann e il nuovo CEO Ulrich Körner hanno entrambi lavorato all’UBS. Körner stesso ha contribuito a cambiarne la strategia, dopo essere stato chiamato all’UBS dal Credit Suisse.

L’ottimismo dei vertici della banca non è condiviso da tutti, a leggere la stampa d’Oltralpe. Ulrich Körner è bravo a risparmiare, ma non ha raggiunto gli obiettivi di profitto quando era a capo dell’Asset Management all’UBS. Inoltre è di animo schivo, non propriamente un motivatore, ciò che non gli renderà facile trasmettere il cambiamento culturale. L’analista di Vontobel Andreas Venditti, citato dal «Tages Anzeiger» è severo: il Credit Suisse ha alle spalle molti piani di risparmio e ogni volta i profitti sono calati. Perché è calata anche la fiducia dei clienti. Il punto è che il CS non può sbagliare, questa volta, se non vuole essere assorbito da un’altra banca.