A causa della pandemia le economie del mondo intero funzionano, da più di un anno, in modo irregolare. Vi sono state sospensioni di attività, imposte dal diffondersi del virus. Vi sono stati lunghi periodi di lavoro a domicilio che pure hanno influito negativamente sull’evoluzione della produzione e della produttività. Gli approvvigionamenti in materie prime e semifiniti sono stati interrotti o ridotti in misura significativa e continuano a non funzionare secondo le esigenze del sistema «just in time», oramai diffuso in molte grandi aziende.
I ritardi e i mancati rifornimenti, determinati dalla chiusura temporanea delle frontiere e dai numerosi controlli imposti dal diffondersi della pandemia, disturbano l’evoluzione regolare delle attività di produzione, fanno aumentare i costi e si traducono, mese per mese, in un aumento del livello dei prezzi, del lavoro a tempo ridotto e della disoccupazione. Recentemente Hansueli Schöchli ha cercato di tracciare, sulla NZZ, un bilancio d’assieme di questi costi per l’economia del nostro paese, tentando inoltre di individuare quali gruppi di agenti siano stati chiamati, sin qui, a pagare la fattura. Si tratta di una stima aggregata azzardata perché, come ognuno può ben pensare, non esiste nessuna contabilità per il Covid.
Secondo lui i costi economici della pandemia dovrebbero raggiungere nei due anni, 2020 e 2021, i 45 miliardi di franchi e sarebbero stati sopportati da tre gruppi di agenti: i lavoratori, le aziende e lo Stato dove, per Stato, si intende, come nella contabilità nazionale, l’aggregato della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni. Sempre stando alle stime di Schöchli dal 10 al 15% di questa somma, ossia dai 4 ai 6.75 miliardi, sarebbero andati a carico dei lavoratori. Si tratterebbe di perdite di salario di diversa origine che non si sarebbero registrate se non ci fosse stata la pandemia. Precisiamo che queste perdite corrispondono alla somma delle perdite di salario dei lavoratori occupati nella nostra economia con la perdita di salario subita dall’effettivo supplementare di lavoratori che avrebbero potuto essere impiegati se la stessa non ci fosse stata. Stando a Schöchli, dei due fattori di questa somma il più importante è stato il secondo, ossia le perdite di salario determinato dal mancato aumento dell’effettivo di occupati.
La quota di costi più importante è stata però presa in conto dallo Stato. Così la Confederazione, per i due anni 2020 e 2021, pagherà circa 25 miliardi per indennità di lavoro a orario ridotto, indennità per perdita di guadagno da parte di lavoratori indipendenti e aiuti finanziari alle aziende in gravi difficoltà. A questo montante bisogna aggiungere il calo delle entrate fiscali di Confederazione, Cantoni e Comuni e possibili perdite su fideiussioni Covid. In tutto Schöchli calcola che lo Stato dovrà finanziare costi per circa 30 miliardi di franchi. Il resto dei costi, ossia qualcosa tra gli 8,25 e i 10 miliardi è rappresentato da perdite e diminuzioni di guadagni che dovrebbero andare a carico delle aziende.
Le riflessioni del giornalista della NZZ si fermano a questo punto. Ma chi conosce le finanze dello Stato sa che l’imputazione dei costi del Covid non si fermerà qui. La quota dei costi sopportata dallo Stato si ripercuoterà dapprima in aumenti dei deficit e dei debiti pubblici e, in seguito, dovrà essere ammortizzata con i mezzi che lo Stato può procurarsi attraverso il fisco. Col tempo quindi anche la parte più importante dei costi della pandemia ricadrà sulle spalle dei lavoratori e degli imprenditori. È inoltre chiaro che gli imprenditori, in parte, potranno spostare il loro carico di costi sui consumatori attraverso aumenti dei prezzi. Alla fine, insomma, a pagare sarà, come sempre, il povero Pantalone.