L’epoca contemporanea ci ha messo in guardia (o no?!) da quell’errore che è insieme morale, storico, sociologico – e nondimeno altropologico – che è l’etnocentrismo. Diciamolo pure: non che questo sia successo sempre con… successo, ma insomma vi è oggi perlomeno una resistenza o foss’anche soltanto un tantinino di scrupolo al considerare ogni forma di alterità – etnica, religiosa, sociale – come automaticamente ed intrinsecamente «inferiore» e degna di biasimo e riforma. O forse, visto come vanno adesso le cose, è meglio dire che il legato storico del cosiddetto «liberalismo democratico occidentale» ha equiparato la Modernità con la messa in opera a livello globale (ai tempi si diceva ancora «Universale») dei tre Principi della Rivoluzione Francese (poi globalizzata nella vicenda Americana/Statunitense) «Liberté, Egalité, Fraternité». Espurgata la Trinità della democrazia moderna da qualsiasi implicita od esplicita garanzia teologico-confessionale, si è pensato che la laïcité neutrale della Modernità à-la-Parisienne potesse candidarsi a modello globale. Oggi sappiamo che non è così, punto. E se ci interroghiamo sulle cause di questo fraintendimento storico (chiamiamolo così) certo dovremo rivedere un altra grave presunzione del pensiero cosiddetto occidentale.
Quello che possiamo chiamare «Cronocentrismo» precede ed informa di sé in maniera sottile e quasi invisibile l’Etnocentrismo di cui sopra. Si tratta del concetto secondo il quale il «Moderno» è comunque e sempre «più bello». Ciò che «viene dopo» è sempre e comunque meglio di ciò che «viene prima», proprio come per il pregiudizio etnocentrico. In sostanza: «chi viaggia in automobile è migliore di chi si sposta a piedi». Il problema è che il Cronocentrismo, così come l’Etnocentrismo che ne è figlio, non regge alla prova dei fatti.
Il 9 aprile 1388 – cade oggi il 630mo Anniversario – 400, all’incirca, Confederati della prima Confederazione Svizzera – Cantoni Glarona, Uri e Svitto, si trovarono faccia a faccia con 6500 soldati dell’Arciduca d’Austria. La località era Näfels, Canton Glarona. L’ironia della Storia Storieggiata omette sui Testi i nomi dei leader comandanti i montanari armati di archi e balestre, ma riporta i nomi altisonanti dei Comandanti le forze Asburgiche: Graf (Conte) Donat von Tonnenburg e il Cavaliere Peter von Thorberg a capo del grosso dell’esercito con 5000 uomini ed il Graf Hans von Werdenberg-Sargans a capo di una colonna di supporto di 1500 soldati. Lo scenario storico era il conflitto con la nascente Confederazione, decisa a difendere le libertà democratiche e plebiscitarie sancite dagli stessi patti federali dalle mire espansionistiche degli Asburgo. Il conflitto che si protrasse per la maggior parte del XIV secolo ebbe diverse fortune. Questa la sequenza dei fatti: poche settimane dopo la battaglia di Sempach (9 luglio 1386), i Confederati mettono sotto assedio il villaggio asburgico di Weesen, sullo Weesensee. L’anno successivo Glarona insorge contro gli Asburgo e distrugge Burg Windegg: l’11 marzo il Consiglio di Glarona si dichiara libero dal controllo Asburgico. Notte del 21-22 febbraio 1388 le forze Asburgiche attaccano Weesen. I Confederati devono fuggire abbandonando la città.
In seguito a questo successo la forze Asburgiche prendono coraggio e decidono di usare Weesen come base per attaccare Glarona: tagliata fuori Glarona dal resto della Confederazione la via verso Occidente sarà libera. E quella spina nel fianco – Libera, Democratica e Fraterna (e tanto rompiscatole in un quadro generale europeo ancora feudale) – che era la Confederazione sarà finalmente schegge di Storia. Ma così la cronaca: la mattina del 9 aprile gli austriaci attaccano Näfels. In inferiorità numerica i 400 difensori di Glarona, Svitto e Uri sono costretti a evacuare la città. Sicure del successo le truppe Asburgiche si danno al saccheggio tanto in città quanto nel contado. Ed ecco che i Confederati, fino ad allora nascosti nei boschi, emergono dalla neve e dalla nebbia. Ora o mai più. Gli austriaci intenti ad altre faccende sono presi di sorpresa e fuggono cercando di nuovo riparo a Weesen. Il ponte sul fiume Maag collassa e molti soldati trovano lì la fine della loro disgraziata vicenda. Risultato delle Perdite alla maniera calcistica ma viceversa: Confederati 54 – Asburgo 1700. Morti, s’intenda. Il che vuol dire che 400 uomini motivati alla libertà ebbero la meglio su 6500 soldati interessati al saccheggio.
Morale della storia? Quelli che oggi pensiamo caratterizzare i valori fondanti la Modernità non sono affatto esclusivi del periodo storico che – certo – vede la Rivoluzione Parigina in qualche modo protagonista. Ma la vicenda libertaria, egalitaria e fraternitaria che – altrettanto – caratterizza la marcia del cosiddetto Occidente, ha radici molto più profonde. Forse in Montagna, dove maturarono esperienze e aspettative, decise a farla finita quando Altrove si pagavano tributi. Ma questa è – ancora – un’altra Storia.