Cosa vide il capitano Cook

/ 26.08.2019
di Cesare Poppi

L’ultimo quarto del diciottesimo secolo è stato tra i più favorevoli alle esplorazioni geografiche. Finalmente il secolare problema del calcolo della longitudine era stato risolto con l’arrivo del cronografo di John Harrison. Era questi il vincitore di un concorso bandito dall’ammiragliato britannico per un orologio che fosse accurato ed allo stesso tempo potesse sostenere beccheggio e rollio delle navi senza che la sua precisione venisse alterata. Che quella fosse la soluzione teorica al problema lo si sapeva peraltro già dalle ricerche pionieristiche di Amerigo Vespucci (1499) e dello stesso Galileo, che nel 1612 aveva formulato il problema con lucidità. Ma – appunto – in mancanza di orologiai confederati (che peraltro vivendo in montagna poco sapevano di beccheggi e rollii), nessuno prima di Harrison era riuscito a costruire un apparato che informasse senza errore che ore fossero a Greenwich – sede dell’ammiragliato – in qualsiasi punto del mare oceano in cui uno si trovasse col suo orologio di lusso.

Gli anni che seguirono il 1773 furono cruciali per lo sviluppo della cartografia: era finalmente possibile produrre carte che localizzassero senza errore non solo i punti rilevanti di riferimento sulla terraferma, ma anche e soprattutto le variazioni delle profondità marine onde evitare le secche. E fu così che una nuova generazione di capitani esperti nella navigazione di rilevamento cartografico venne alla ribalta della scena. Fra questi spiccava James Cook: già nel 1766 aveva con successo calcolato la longitudine del punto dal quale aveva osservato un eclissi di sole a Terranova, parte di una serie di esperimenti volti a collaudare i nuovi metodi di calcolo. Questo succedeva durante una missione finanziata dall’Ammiragliato e dalla Royal Society che gli avevano commissionato di produrre carte di navigazione per Terranova, area cruciale coi suoi famosi «banchi» per la crescente industria della pesca del merluzzo e per la colonizzazione dell’America del Nord. In cinque campagne Cook produsse una serie di carte talmente accurate da rimanere in uso fino al XX sec.

«Intendo navigare non solo oltre il punto dove l’uomo sia arrivato prima di me, ma fino al punto in cui ritengo che l’uomo possa navigare». Queste le aspirazioni del quarantenne Capitano quando, il 25 maggio 1768, l’Ammiragliato gli affidò la missione che lo avrebbe portato ad osservare il passaggio di Venere davanti al sole nell’Oceano Pacifico: triangolata con osservazioni da altri punti di vista questa avrebbe perfezionato il calcolo della distanza del Sole dalla Terra e reso dunque ancora più accurato il calcolo della longitudine. Il 26 agosto 1768, Cook ed il suo equipaggio salparono l’ancora dell’HMS Endeavour in rotta per Capo Horn. Continuarono poi attraverso il Pacifico ed arrivarono a Tahiti il 13 aprile 1769. Qui Cook effettuò le osservazioni sul transito di Venere che peraltro si rilevarono meno accurate e decisive di quanto si fosse sperato. Ma c’era altro in attesa per il demoralizzato Cook: aperta la busta sigillata contenente ulteriori ordini di missione, gli veniva richiesto di esplorare la parte meridionale dell’Oceano Pacifico alla ricerca della postulata, leggendaria e mai avvistata Terra Australis.

L’Endeavour si spinse a Sud fino ad arrivare alla Nuova Zelanda. Sul ponte di comando, assieme a Cook, c’era Tupaia, un sacerdote dell’aristocrazia di Tahiti, grande navigatore e conoscitore delle isole che avrebbe pilotato la nave fra i meandri degli arcipelaghi polinesiani. Cook fece rilevamenti accuratissimi del perimetro della Nuova Zelanda per poi risalire verso Nord-Nord Est. Il 19 aprile 1770 si trovava al largo della costa orientale dell’Australia, primo europeo ad avvistarla. Quattro giorni più tardi si trovava a Brush Island, vicino a Bawley Point, a Sud dell’attuale Sidney. Una curiosa annotazione sul suo diario di bordo certifica il primo avvistamento degli Aborigeni Australiani da parte di un Europeo – o forse di un Inglese: «…eravamo così vicini alla costa che potevamo distinguere parecchie persone sulla battigia. Sembravano di colore molto scuro o forse addirittura nero, ma non posso dire se questo fosse dovuto al colore della loro pelle o al colore dei loro vestiti». Da parte sua il Vostro Altropologo preferito non può dire se il Nostro abbia ipotizzato che gli Aborigeni potessero essere vestiti in frack per andare all’Opera. Ma resta il fatto – rimarchevole per l’epoca – che l’osservazione del Capitano testimonia di uno spirito d’osservazione obiettivo e neutrale, pronto a prendere in considerazione tutte le alternative prima di pronunciarsi.

Il resto è storia: il 29 aprile finalmente Cook metteva piede a terra in quella che compare oggi sulle carte come Botany Bay, poco a Sud dell’attuale aeroporto di Sidney. Qui i due scienziati naturalisti di bordo, Joseph Banks e Daniel Solander, raccolsero campioni che testimoniavano dell’unicità geologica e naturalistica del Continente Nuovissimo. Al ritorno dell’Endeavour in patria, sarà proprio Joseph Banks con le sue collezioni di mirabilia a divenire per l’opinione pubblica l’eroe dell’impresa. Sic transit.