Conversazioni digitali semiserie

/ 04.02.2019
di Natascha Fioretti

Se uno degli scrittori svizzeri più letti e tradotti di punto in bianco decide di aprire un account su Twitter e, qualche mese dopo, annuncia il lancio del suo sito personale (martin-suter.com) con l’intenzione di riprendere a pubblicare la sua storica rubrica Business Class, ospitata per più di un decennio sulla «Weltwoche», vorrà pur dire qualcosa. Anche perché Martin Suter conosce bene le regole del marketing editoriale che negli anni, grazie anche a quella sua impeccabile immagine un po’ dandy – vestito sartoriale blu scuro, camicia bianca e capello lucido all’indietro – ha saputo ben sfruttare. Chissà se anche solo un ricciolo si è scomposto e gli è caduto sulla fronte quando, poche ore dopo il debutto in versi, il suo account@martinsutercom è stato oscurato. Eppure la prima di tante rime pubblicata il 3 novembre scorso non era male: «Ich habe einen kühnen Plan, Bin früh schon auf den Beinen: Ich fang jetzt auch zu twittern an. Von Tweets nur, die sich reimen» (Ho un piano ardito, son già in piedi dal mattino: anch’io da oggi twitto, solo tweet in rima). Certo il suo ingresso sul social network ha spiazzato molti, primo tra tutti il suo storico editore zurighese, il Diogenes Verlag, che ha subito segnalato l’account pensando si trattasse di un fake. In fondo fino a quel momento il suo scrittore di punta non aveva mai mostrato interesse per Twitter o Facebook. Ma in un attimo tutto cambia e, a ben guardare, il suo account un po’ ci ricorda gli aforismi digitali di Eric Jarosinski su @NeinQuarterly: «Tomorrow. Tomorrow. We regret to inform you that, yes, there is a tomorrow» (Domani. Domani. Ci spiace informarvi che sì, c’è un domani). Non male anche i tweet dello scrittore svizzero Alan de Botton «You’re not much more demented than the rest – you just know a lot more about what’s passing through your mind» (Non sei molto più demente degli altri, semplicemente sei molto più consapevole di quello che ti passa per la testa).

E non sono soltanto i grandi autori a tenere conversazioni semiserie digitali su letteratura e filosofia ma anche identità nascoste da nomi di fantasia. Come BLLW che sta per Bougie London Literary Women (Donna londinese snob appassionata di letteratura), alias @BougieLitWoman, 14.000 follower in soli 3 mesi, che si definisce «un uccello marino alla deriva sulle maree londinesi che può essere sorpreso a divorare letteratura, a nuotare in modo selvaggio o a fare scarabocchi». Salvo poi specificare che dietro questo account non c’è un uomo e suggerire ai suoi follower «carpe librum». I suoi tweet sono dei veri artifici linguistici, parodie e citazioni di libri, autori e autrici: «sto cercando di mettere insieme un abbigliamento per la giornata che esprima queste due cose “evidentemente sono una discendente di George Sand” e “faccio regolarmente degli incantesimi”». George Sand è stata una femminista e una scrittrice e drammaturga francese tra le più prolifiche della storia della letteratura, magica, ricorderete, La sua piccola Fadette.

Sembra facile ma i tweet non son cosa da tutti, ci vuole una certa arte, bisogna condensare stile, audacia e carattere, individuare una nicchia e risvegliare un interesse che possa attirare utenti disposti a seguire le tue conversazioni semiserie a condividere il tuo registro, lo spirito e il tono dei tuoi tweet, allora l’account si trasformerà in una sorta di club letterario alla Scriblerus per principianti. Fondato nel 1700 da Alexander Pope, Jonathan Swift, John Gay e John Arbutnot mirava a prendersi gioco dei letterati pedanti e ottusi, a fare satira contro la vuota erudizione.

E poi, ancora, ho scoperto di recente gli account per gli amanti dei classici come TS Eliot e Silvia Plath:«Voglio essere una cicatrice di parole».

Le parole sono importanti, non era necessario twitter per ricordarcelo con i suoi giochi di caratteri, ma è vero che questa declinazione e questa frammentazione letteraria di sensi slegati dai contesti sono lo specchio di un tempo che ama la semplificazione all’accesso e l’accumulo di significati sotto forma di illusorie pillole di conoscenza che procurano euforia a chi le legge e visibilità a chi le condivide.